Francia divisa sull’eredità del colonialismo

Francia divisa sull’eredità del colonialismo

Massimo Introvigne

Appena finite le rivolte delle periferie, in Francia si ricomincia a marciare «contro l’articolo 4», cioè contro una norma della legge sulla pubblica istruzione che invita gli insegnanti a illustrare agli allievi «anche gli aspetti positivi del colonialismo francese». Sembra che la legge piaccia alla maggioranza dei francesi. Chirac, che l’ha definita «una coglionata» (une connerie), è sceso all’uno per cento nelle intenzioni di voto per le elezioni presidenziali del 2007. Sarkozy, che difende la legge, è in testa con il 36% mentre il primo ministro Villepin, che diplomaticamente dichiara che è contrario in genere al fatto che sia il Parlamento a occuparsi dei libri di testo, insegue al 19%.
Si potrebbe essere d’accordo con Villepin, se non fosse che il Parlamento francese è intervenuto per esempio, fra gli applausi generali, per imporre agli insegnanti di denunciare le responsabilità dell’Europa e della Francia nella tratta degli schiavi. Inoltre, chi protesta di più predica da pulpiti tutt’altro che immacolati. L’estrema sinistra comunista si dimentica che l’Unione Sovietica è stata un grande Paese coloniale, sia attraverso l’occupazione di antichi Stati che erano stati indipendenti per secoli, come la Georgia o l’Armenia, integrate direttamente nell’Urss, sia attraverso l’imposizione ai Paesi satelliti di una dipendenza tipicamente coloniale con tratti talora grotteschi. Alla Mongolia fu per esempio imposto di adottare come unico alfabeto lecito quello cirillico, non precisamente adatto a trascrivere la lingua di Gengis Khan e del tutto estraneo alle tradizioni locali. Alle organizzazioni musulmane, che insieme ai comunisti guidano la protesta, va ricordato che l’islam dei primi secoli si è comportato peggio del peggiore colonialismo, sradicando antiche civiltà cristiane come quella dell’Africa del Nord, e che l’Impero Ottomano in Grecia o in Bulgaria era considerato dagli abitanti una potenza coloniale.
Detto questo, la principale ipocrisia dei nemici della legge, Chirac in testa, consiste nel dimenticare che i danni maggiori sono stati provocati in Paesi come l’Algeria, la Tunisia, la Siria, la Costa d’Avorio non dal colonialismo (che pure ha avuto certamente i suoi aspetti negativi) ma dalla decolonizzazione e dal successivo neo-colonialismo. Non tutti gli amministratori coloniali francesi erano profittatori o delinquenti, e non tutti i missionari erano bigotti incapaci di capire la cultura locale: è difficile, a meno di non essere obnubilati dal pregiudizio ideologico, non riconoscere, per esempio, gli «aspetti positivi» di cui all’articolo 4 nell’opera del maresciallo Liautey in Marocco o del Beato Charles de Foucauld in Algeria. Molto più difficile è trovare elementi positivi nel modo in cui la Francia ha gestito la decolonizzazione, favorendo sistematicamente forze nazionaliste che rendevano omaggio al laicismo alla francese ma finivano per esprimere dittatori che in materia di violazioni di diritti umani si lasciavano indietro anche il peggiore degli amministratori coloniali francesi.

La teoria secondo cui il «nostro figlio di buona donna» è preferibile nel Terzo Mondo alla persona per bene che però non difende i nostri affari è stata abbandonata dagli americani negli anni 1980. Chirac, come dimostrano le vicende della Costa d’Avorio, continua a sostenerla ancora oggi. Sono i misfatti della decolonizzazione, oltre a quelli del colonialismo, che andrebbero spiegati agli scolari francesi.

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