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LA VIA FRANCIGENA

Viaggio lungo la strada percorsa nel 990 dall’arcivescovo Sigerico di Canterbury tornato da Roma

LA VIA FRANCIGENA

Mille chilometri. Da Canterbury a Roma per gli uomini di buona volontà, passo passo, senza Gps e con la bisaccia stretta in vita. Per la Via Francigena o Romea che taglia l'Europa e punta la capitale. Anche oggi. La fai per inerzia, magari per goderti il paesaggio scansando scorrimenti veloci, per riconoscere il silenzio che lascia il vuoto negli orecchi. Ma la storia te la perdi in curva, con la fretta di arrivare. Minuti contati e lei lì immemore. Stacco e fermo immagine alla Pasolini di Edipo: l'aria tremula di caldo, chilometri. Spegni l'auto, chi è con te sbuffa e s'attacca al cellulare. Input archetipo il tuo, non sai di dove arrivi. È bastato metterti in strada, un po' perché il tuo capo te lo dice da mesi, pedibus calcantibus, di farla 'sta Francigena «che così la raccontiamo», un po' per quell'istinto lì che freudianamente lasci galleggiare. Nel 990 l'arcivescovo Sigerico di Canterbury, tornando da Roma, s'era marcato le 80 tappe che lo riportavano a casa, con tanto di ospitali e chiese. Era la pratica del pellegrinaggio in crescita esponenziale verso i luoghi santi della cristianità: Gerusalemme, Santiago di Compostela e Roma. La Francigena - snodo delle grandi vie della fede: verso Roma e poi i porti pugliesi e Gerusalemme, o verso Luni per l'imbarco direzione porti francesi o dritti al Moncenisio per la Via Tolosana e quindi la Spagna. Che poi la Francigena abbia continuato nei secoli a mescolare cultura, idiomi, «razze» e traffici è un'altra storia. Mai esistito un tracciato unico: oggi resta il recupero delle principali mansioni e luoghi toccati dai viandanti lungo la Via. Con il diario di Sigerico che si conferma la fonte filologica più autorevole. Dal Giubileo del 2000 la riscoperta e il recupero. Dopo Inghilterra e Francia, attraverso le Alpi in Valle d'Aosta, raggiungeva il Canavese e passava l'Appennino in terra parmense per il Monte Bardone, la tappa Montbardon de «La Chanson de Geste». Decidi di iniziarla da qui la tua allegoria Francigena. Esci a Fornovo, centro mercantile e snodo viario significativo alla confluenza di Taro, Ceno e Sporzana, ultimo luogo di sosta per chi, venendo dalla Via Emilia, doveva affrontare i monti. Giorno di mercato, indicazioni della Via un po' ovunque, t'ingrippi e chiedi aiuto all'ufficio informazioni in ristrutturazione. «Vai per la statale 62 della Cisa e non puoi sbagliare». Tutto lì? Il signore gentile abbozza e ti squadra: «Certo che con i tacchi e l'auto è la più semplice, no? Poi c'è la deviazione in mezzo al bosco: fondo lastricato e tutto un altro andare». Touché, ma sei attrezzata. «Dai un occhio alla Pieve, prima si salire». Già. «Anche la Pieve?» risbuffa il tuo accompagnatore. Anche la Pieve e soprattutto quella statua acefala del pellegrino con le chiavi alla cintura, "vero segnale stradale" per viaggiatori diretti a Roma. Hai le Credenziali del pellegrino nello zaino, un timbro per attestare il passaggio, e via. Comincia la salita. Fornovo-Sivizzano, poco più di sette chilometri. Due tornanti e pianori coltivati fino a Caselle. C'è la strada in mezzo ai campi, ma segui l'asfalto. A Roncologno i resti della fattoria d'epoca romana, e poi viti, terra ondulata fino a Sivizzano. Nessun pellegrino, marci sola fino al borgo. Il bar e accanto la chiesa medievale, il chiostro e l'ospitale. Pietre e silenzio, di quelli che annusi. Tasti uno spazio prigioniero di chi ha toccato quei muri e non per scrivere un articolo. Attraversi il paese e sei ancora sulla provinciale. C'è da scendere e salire fino a Bardone. A dire il vero girando subito a sinistra e superando Sporzana, potevi seguire il torrente su un sentiero segnalato per arrivare ad un ponte di legno e quindi alla provinciale. Eviti, che l'orientamento non è il tuo forte. Arranchi fino allo spettacolo di Bardone, tirata a lustro che non è neanche festa. Ecco la segnaletica marrone del pellegrino, non puoi sbagliare, altra sosta. I recenti restauri hanno portato alla luce una chiesa più antica dell'attuale. Un gruppetto di ragazzini gioca a palla, un sorriso, sono abituati agli sconosciuti e ai loro zaini. La palla rimbalza e tu giri attorno alla Pieve dell'Assunzione di Maria Vergine che ti schiaffa negli occhi il suo belvedere. Cominci a materializzare i passi, il sole è alto nel cielo e tu cammini da un po'. L'appuntamento con l'auto e l'uomo-cellulare è a Terenzo, il paese dopo. Hai ancora un po' di strada e in testa un frullatore. Frasi, situazioni, facce, che ti tirano indietro, con il tracciato che ti si allunga senza anime. Un segno, ironizzi. Poi pensi che sei sola, che se urli ti sentono solo le pietre. Passo, passo. Macché. Aria liquida, la ingolli e guardi l'orizzonte. Il campanile è laggiù, poche centinaia di metri. Una coppia sta fotografando quella delizia medievale, perfettamente conservata in una vita parallela. Pellegrini? «Arriviamo da Brescia - confermano Anna e Gimpiero - Ci piace camminare e la Francigena è un ottimo pretesto. Abbiamo una settimana e facciamo da Fidenza a Lucca» E il percorso spirituale? «Per adesso ci godiamo il paesaggio un po' sulla statale, un po' sulle deviazione in mezzo ai campi.

La gente è accogliente, ti chiedono sempre se serve qualcosa, o si fermano semplicemente a scambiare due chiacchiere». Per dormire? «O negli ostelli o dai parroci». Accidenti, praticamente turisti. Niente, sali in auto, il cellulare dell’amico quieta, cerchi di tradurre quei pochi chilometri. Macché, si va a Cassio. In macchina.

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