FRANCO MARIA RICCI «Basta libri, faccio labirinti»

Dalla carta stampata alle piante, con la solita passione: «Ho piantato 20mila bambù tra cui perdersi e ritrovarsi»

Bagliori di estati lontane, vacanze infantili trascorse in una campagna parmense, i pioppi cipressini in fila indiana, i salici piangenti come donne chine in preghiera. Da quando ha quasi del tutto abbandonato l’arte dell’amato Bodoni («Perché non volevo diventare un vecchio editore»), Franco Maria Ricci trascorre molto del suo tempo nella proprietà di famiglia a Fontanellato, tutto dedito al grande sogno di cui ormai da tempo si parla («anche troppo. Mi chiamano perfino dal Giappone»): creare un labirinto, il più grande labirinto d’Europa. «Veramente volevo che fosse il più grande del mondo - confessa - ma Borges un giorno, mentre era qui nella mia campagna, mi ha detto che no, il labirinto più grande dove l’uomo può perdersi è il deserto. Quindi il mio sarà il secondo labirinto del mondo».
Del labirinto Franco Maria Ricci è restio a parlare: «È un progetto ancora lontano dalla conclusione. E poi, chissà se riuscirò a terminarlo. Vespasiano Gonzaga non è mica riuscito a finire Sabbioneta...». Preferisce parlare dell’altra impresa appena conclusa, che gli è costata molto in danaro ma anche in soddisfazioni: il recupero e la pubblicazione dell’Acis Hortus Regius, il monumentale corpus naturalistico ricco di 753 tavole, commissionato ai primi dell’Ottocento dal botanico siciliano Giuseppe Riggio al pittore Emanuele Grasso: «Un’opera stupenda, sicuramente il più importante libro di botanica apparso in Italia, un capolavoro assoluto». A condurlo sulle tracce dell’opera, la passione bodoniana («spulcio sempre i cataloghi antiquari alla ricerca di qualche Bodoni ancora mancante nella mia collezione») e l’amore per la Sicilia, rafforzatosi nei due anni in cui ha intrattenuto un profondo rapporto con l’isola per la pubblicazione della monumentale Enciclopedia della Sicilia, curata da Caterina Napoleone e apparsa nel 2006.
«Quando ho avuto fra le mani i quattro grandi tomi in folio nella libreria dell’antiquario torinese Pregliasco, mi sono detto subito che quel capolavoro doveva tornare in Sicilia. Ho pensato perciò di pubblicare un libro in modo che il ricavato delle copie vendute permettesse l’acquisto dell’originale da donare alla biblioteca Zelantea di Acireale, patria di Giuseppe Riggio, che faceva parte dell’Accademia degli Zelanti. Mi hanno aiutato, appoggiando il progetto, il Banco di Sicilia e la fondazione Banco di Sicilia».
Passione di bibliofilo e nostalgia di antichi giardini, parchi, orti dei semplici, natura plasmata dall’uomo, prima che l’intervento diventasse distruttivo. Creatore di pubblicazioni d’arte fra le più belle del mondo, nominato nel 2005 Commandeur dans l’ordre des Arts et Lettres (il più alto riconoscimento della Repubblica francese in campo culturale), Franco Maria Ricci, dopo quarant’anni di editoria d’arte, oggi preferisce lavorare con la terra piuttosto che con la carta. «Ho piantato nella mia proprietà ventimila bambù su sette ettari di terreno, ma ho dovuto anche realizzare sei chilometri di drenaggio e sei chilometri di impianto a goccia. I bambù giovani vogliono l’acqua ma soffrono il ristagno idrico».
Ci siamo ricascati, sul labirinto. Le giovani piante di bambù, provenienti dal grande vivaio francese La bambouseraie de Prafrance ad Anduze, formano infatti il labirinto. «Un labirinto ombroso perché si immagina due ore di cammino, tanto ci vorrà a compiere il percorso di tre chilometri, sotto il sole dell’estate padana». Il perché della scelta dei bambù è presto spiegato: «Sono belli, eleganti, quando si piegano al vento formano un concerto vegetale. Mi piacciono le piante che non danno immagine di forza ma di morbidezza, che si piegano come i salici piangenti e i bambù appunto, i quali crescono in fretta, si riproducono velocemente e questo consentirà la creazione del vivaio».
Il sogno di Franco Maria Ricci non è infatti solo un monumento vegetale a se stesso. Il labirinto sarà aperto al pubblico, circondato da un porticato che al piano soprastante ospiterà la sua collezione d’arte, conterrà stanze verdi dove sostare e tenere concerti di archi, un piccolo ristorante all’ingresso dove gustare piatti locali semplici, una libreria e un vivaio. Il vivaio è fondamentale. Dice il suo ideatore: «Il labirinto diventerà una fondazione botanica legata al bambù che regalerà le piantine a chi vorrà mascherare con cortine verdi quelle orribili fabbrichette, quei disgustosi capannoni artigianali che stanno devastando il paesaggio italiano. Pensi che ero riuscito a fare approvare un regolamento dal Comune di Fontanellato (vicino a Parma) che prevedeva che, al momento di chiedere il permesso per costruire un capannone, il richiedente si impegnasse a una piantagione all’intorno».
Un vero benemerito, il sindaco di Fontanellato, Vincenzo Bonazzoli. Peccato che il regolamento comunale sia stato bocciato dalla provincia: non si può imporre agli artigiani l’onere di una piantagione, siamo un Paese libero che diamine. «Ci riproveremo con i bambù in omaggio - dice Ricci - sono semplici da coltivare, sopportano il caldo e il freddo fino a venti gradi sottozero. E non vengano i verdi a obiettarmi che non sono autoctoni. Scempiaggini: nemmeno le patate, i pomodori, le camelie sono autoctoni. E poi in ogni giardino ottocentesco c’era il boschetto di bambù».
A volte c’era anche il labirinto di bosso. Spiega l’editore: «Nella sua lunga storia il labirinto conosce tre momenti: quello dell’età minoica, legato al mito cretese di Minosse, del Minotauro, di Teseo e di Arianna. Quello del mondo romano, dove il labirinto, realizzato con la tecnica musiva, diventa una sorta di percorso mistico, in senso pagano naturalmente. Ce n’è uno bellissimo al Kunsthistorisches Museum di Vienna, al quale mi sono ispirato per il mio. Il labirinto compare anche nelle cattedrali medioevali, come a Chartres, per esempio, a volte graffito sulle pareti, ed è sempre un percorso della mente, simboleggia la via di Gerusalemme, un viaggio verso il divino, un po’ come nei màndala buddhisti. Poi c’è la rinascita settecentesca, in particolare nei giardini aristocratici inglesi, dove il labirinto diventa un luogo verde e soprattutto ludico, per disorientare le dame e magari, nel cercare la via d’uscita, tentare qualche carezza indiscreta».
Resta da chiedersi quale sarà e vorrà essere il labirinto di Franco Maria Ricci sotto la volta formata dai ciuffi dei bambù una volta cresciuti: «Un percorso dell’anima, un perdersi per ritrovarsi. Oggi il nostro labirinto è il computer in cui ci perdiamo, ma il nostro smarrirsi è segnato dall’angoscia. Il percorso all’interno del mio labirinto dovrebbe servire a ritrovare la serenità, il silenzio, se stessi».
Al termine del labirinto sorgerà una cappella a forma di piramide. «È lì che voglio essere sepolto», dice Franco Maria Ricci. Riposare nel cuore della sua pianura, aspettando magari la fioritura dei bambù.

Si dice che i bambù fioriscano ogni cento anni e che quando una specie fiorisce si estingua per sempre. «Forse è vero. Ma di bambù ne esistono circa centottanta specie in Europa e millecinquecento in Cina. Abbastanza per garantirmi per sempre la musica delle loro canne al vento».

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