Che sia bravo a tirare righe nessuno lo discute. Anche perché, diciamolo tranquillamente, in Italia nessuno si è mai permesso di discutere quelli che tirano righe, compongono musica, scrivono libri, girano film sempre dalla parte giusta. Una volta che si è entrati nel circolino, si resta geni a vita.
Massimiliano Fuksas, romano di origini lituane, classe 1944, nel circolino giusto entra trionfalmente da ragazzo, con i pantaloni corti, e da lì nessuno lo schioda più. Il beneficio della decisiva scelta è sotto gli occhi di tutti: provare soltanto, in questa beata nazione di conformismo sdraiato, a dire che un'opera di Fuksas fa schifo. Può capitare, no? Capita a tutti di produrre opere non riuscitissime. O comunque discutibili. Da noi si discutono le progettazioni di Renzo Piano, casualmente fuori dal circolino, si discute persino l'architetto del creato, ma che nessuno s'azzardi a discutere Fuksas. Per quelli che hanno cultura - quelli che piacciono a lui e che secondo lui non voterebbero mai Berlusconi, come ha spiegato l'altra sera da Santoro - il solo nome basta a generare venerazione. L'ha progettato Fuksas: guarda che roba, è un capolavoro. E chi non gradisce evidentemente non capisce. Dev'essere di destra. Senza cultura. Becero. Un po' cretino.
Eppure, non è necessario sentirsi berlusconiani nell'animo per provare un minimo di scetticismo davanti ai geni come Fuksas. Basta stare a schiena dritta. Basta non temere di restare fuori dal circolino. Non esiste che gente così si permetta di tutto, spocchia e arroganza, supponenza e complessi di superiorità, per il solo fatto di stare sempre dalla parte giusta. Hanno rotto, con questa loro licenza d'uccidere, in nome di una cultura superiore. Ma dove sta scritto, ma chi l'ha detto che possono tranquillamente camminare in testa al prossimo, solo perché hanno compiuto quattro studi e soprattutto frequentato quattro salotti giusti. Se davvero la cultura l'avessero frequentata in modo serio e umile, magari partendo da Socrate, passando per Erasmo da Rotterdam, Montaigne e Voltaire, arrivando fino a Tolstoi, Silone e don Milani (proponendo un percorso a caso), ecco, probabilmente avrebbero capito da subito che la propria supponenza finisce proprio là dove comincia la conoscenza. Ma non è nemmeno il caso di insistere: quando la cultura diventa un distintivo per cocktail in terrazza, o una clava da calare in testa agli avversari, c'è poco da insistere.
Effettivamente, con lo show da Santoro, Fuksas non ha combinato niente di strano. Soltanto, si è rivelato per quello che è. Da sempre. Uno di quegli intellettuali molto democratici, sinceramente convinti che gli uomini siano tutti uguali: difatti, tratta tutti con uguale disprezzo. Crede di poterselo permettere. Da quando si laurea alla Sapienza, nel 1969, si ritaglia subito una sua zona franca, dove nessuno osa entrare anche solo con qualche aggettivo contundente. Tutta la sua vita è una sfrenata corsa tra due ali di folla acclamante. La folla culturale. Che non voterebbe mai Berlusconi. E pazienza se spesso i bonifici glieli firma gente che vota proprio Berlusconi, come succede nel caso emblematico della nuova Fiera milanese, a Rho: in quel caso, benché di estrazione cretina, la parcella non gli provoca indignazione. Che discorsi: è lavoro. Quando lavora, Fuksas non fa più distinzioni. Grazie a questa flessibilità, apre uno studio a Roma nel '67, uno a Parigi nell'89, uno a Vienna nel '93, uno a Francoforte nel 2002. Non solo. Vince premi ovunque. E molti concorsi. Dalla sua matita nasce di tutto: torri urbane, palazzetti sportivi, biblioteche, abitazioni di lusso, municipi, stazioni, caserme, mercati, parrocchie e persino cimiteri. Oltre alla Fiera milanese, si ricorda il centro Ferrari di Maranello, piuttosto che le Torri di Osaka. Attualmente, è molto soddisfatto per essersi preso l'aeroporto di Shenzhen, che fra tre anni di lavoro e un miliardo e mezzo di euro sarà il quarto aeroporto cinese. Di quest'opera, l'autore dice: «Ha la forma di grande razza a doppia pelle, che respira, si piega, si modifica, prende luce e la restituisce». Chi non capisce, ovviamente, non ha cultura e vota a destra.
Fuksas è quello che una volta, alla Biennale di Venezia, lancia una grande idea per la nuova città: «Meno estetica, più etica». Così la spiega al giornale Area: «Non significa una volontà antilinguista, tendente a eliminare la concezione dell'estetica, quanto piuttosto la necessità di trasformare l'ambito estetico in un contesto completamente etico». Chi non capisce, come sopra.
Mentre tutto questo fa e dice, sta con Bertinotti. Compila fatture faraoniche in giro per il mondo e firma i congressi di Rifondazione. Poi, un giorno, anche Bertinotti gli viene a noia. Succede alla famosa sfilata del 2 giugno, quando il presidente della Camera si presenta con il distintivo della pace. Fuksas lo giudica ambivalente. Non gradisce. Adora la coerenza. Negli altri.
Così, eccolo sottoscrivere il grande progetto veltroniano. In un'intervista pre-elettorale, quando ancora è convinto che l'Italia dei culturali sia più numerosa dell'Italia cretina, spiega come Walter sia l'unico ad aver capito il vero problema. E cioè come ormai il nemico non sia più il capitalismo, ma il consumismo: «Significa cedere tutto, anche i valori, pur di possedere e consumare».
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