Funerali di Stato per Mike, come fu per Sordi

Caro Granzotto, vorrei per un momento tornare sulla morte di Mike Bongiorno per chiederle se anche lei conviene che avergli concesso i funerali di Stato è stata una cosa fuori misura, così come l’averlo elevato a mediatore culturale degli italiani. Bongiorno è stato un grande uomo di televisione, amato e popolarissimo ma seguito a pensare che si sia esagerato un po’.

Laddove sono d’accordo col così detto sentire comune è che Mike Bongiorno ha rappresentato e seguita ovviamente a rappresentare una sfaccettatura dell’identità italiana. La cultura la lascerei da parte, anche se i suoi quiz inevitabilmente in quella pescavano. Però il senso di appartenenza (sottolineato, nei primi tempi di «Lascia o raddoppia?», dalle serate nei bar, in casa dell’inquilino o addirittura nei cinema forniti di televisione. Un rito sociale del quale non si può non tener conto) in un modo o nell’altro lo ha alimentato. Giusto quindi che si sia voluto tributargli i funerali di Stato. Privilegio che d’altronde toccò anche ad Alberto Sordi, altro uomo di spettacolo che se non rappresentò tutta l’Italia certamente interpretò una certa Italia.
Giorni fa Cesare Lanza passò ben bene al girarrosto l'enfasi che fece seguito alla morte di Mike Bongiorno, le esagerazioni scritte e dette sul conto del presentatore. Forse è stato troppo severo, ma dove concordo con lui è nel liquidare con una risata l’acquisizione di Bongiorno nel Pantheon della Resistenza. Ma come è venuta fuori questa storia? E poi, che bisogno c’era? Senza un trascorso partigiano non si può essere grandi, non si è meritevoli? Non si è degni? Siamo ancora a questo punto di stucchevole e macchiettistica retorica?
Nella primavera del ’44 Mike Bongiorno era a San Vittore, ivi recluso solo perché di madre americana. Parcheggiato nel Quinto braccio, quello dei «politici», vuoi per la giovane età vuoi per la trascurabile entità delle sue colpe godeva di una certa libertà di movimento (avendo modo di frequentare perfino uno come Indro Montanelli, matricola 2054, cella 132. Un condannato a morte: Todesurteil). Libero di muoversi, dunque, ma certo non al punto da fare, come si intende far credere, la staffetta partigiana, attività improbabile entro le mura di un carcere per di più gestito dalle Schutzstaffeln. E dal quale Mike uscì nell'aprile del ’45, un po’ tardi per prendere la via dei monti e unirsi alle bande partigiane. Niente di male: diciamo pure, se vogliamo proprio, che magari Bongiorno avrebbe abbracciato la causa della Resistenza, ma ciò gli fu impedito da cause di forza maggiore.

Un po’ come Dario Fo il quale racconta che voleva sì unirsi ai partigiani, ma cerca che ti ricerca e non trovatili, ripiegò sulla Decima Mas. Quando si dice il caso, eh, caro Prosdomini?

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