Politica

La furia di Katrina si spegne sopra New Orleans

Guido Mattioni

Alla fine, anche l’angelo di New Orleans ha guardato giù. E attraverso quel grumo di nuvole nere che promettevano soltanto vento, acqua e distruzione, ha letto pure lui il grande cartello scritto in fretta, prima della fuga, da una mano anonima e disperata: «Per piacere, pregate per New Orleans». E l’angelo si è commosso. In fondo, perfino quel luogo tanto trasgressivo e peccaminoso che lo fa così dannare, con i suoi musicisti alcolizzati e le spogliarelliste, i santoni bugiardi e i pescatori di frodo, meritava un’altra chance. Forse troppo trasgressivo e peccaminoso per evitare del tutto una punizione, ma sicuramente troppo bello per essere definitivamente cancellato sotto una gigantesca onda di acqua limacciosa.
Preghiera accolta, insomma. Perché dopo aver galoppato tutta la notte sul Golfo del Messico, puntando con il suo carico di distruzione verso la città, alle prime ore di ieri, quando era ormai in vista della «Big Easy», l’uragano Katrina ha frenato e impercettibilmente deviato verso est-nordest, in direzione di Mississippi e Alabama. Scendendo prima dal livello cinque al quattro della scala Saffir-Simpson, che misura la forza degli uragani, per precipitare poi a quota tre, ancora a due e infine a uno.
I danni ci sono stati (parecchi, calcolabili per ora, sicuramente per difetto, in almeno 30 miliardi di dollari), e altri ne seguiranno nelle ore a venire, soprattutto per l’effetto devastante delle piogge torrenziali che spesso arrivano da dietro (backyard flood, lo chiamano qui) e in ritardo, quando tutti pensano che la bufera sia ormai passata. Ma già quando l’uragano ha toccato la Grand Ile, l’isola piatta che si stende 60 a miglia a sud di New Orleans, la forza circolare dei suoi venti è passata dai 280 ai 200 chilometri orari, decretando così il declassamento di Katrina e facendo tirare un momentaneo respiro di sollievo alle autorità, al milione di cittadini fuggiti con la morte nel cuore e ora incollati a radio e tv a casa di amici o in una camera di motel, ai circa 40mila che hanno trovato ospitalità nei rifugi pubblici e agli almeno 50mila (ma qualcuno calcola 100mila) che hanno ignorato l’ordine di evacuazione deciso da sindaco e governatore, preferendo aspettare barricati in casa il passaggio del «mostro». Una disobbedienza, la loro, per la quale non sono previste sanzioni, salvo però l’impossibilità di pretendere un soccorso tardivo in caso di pericolo: la precedenza viene data a chi è stato un buon cittadino.
Il peggio sarebbe insomma passato, per la fragilissima Venezia d’America, sprofondata com’è a due metri sotto il livello del mare e difesa soltanto da una precaria diga naturale. E le funeree previsioni che gli esperti continuavano a fare ancora all’alba di ieri - una città cancellata per sempre, oltre a un potenziale prezzo calcolato in almeno 50mila vite umane - sono fortunatamente cadute.
Di acqua ne verrà tanta, come si è detto, ma il Centro nazionale degli uragani di Miami ha dovuto ridimensionare di molto i sui precedenti calcoli sul pericolo inondazioni. A New Orleans, le onde provocate dal vento e gonfiate dalla pioggia non dovrebbero superare i cinque metri, mentre se ne temevano di nove. Avrebbe significato mesi di tempo prima del deflusso definitivo delle acque, con i prevedibili e disastrosi danni alle strutture degli edifici.
Il declassamento a livello tre non ha impedito però alla furia degli elementi di strappare un pezzo di copertura (60 centimetri per quasi due metri) dalla gigantesca cupola del Superdome, il monumentale stadio dove avevano trovato rifugio fin da domenica 10mila cittadini (soprattutto i più poveri o chi una casa nemmeno ce l’ha) impossibilitati per diversi motivi ad abbandonare la città. Un inconveniente che ha costretto le autorità ad allontanare gli sfollati dalla verticale dello «strappo» per evitare un bagno fuori programma e che ha ha privato quasi del tutto della corrente l’edificio, rendendo inutilizzabile l’impianto dell’aria condizionata.
Dietro di sé, intanto, Katrina lasciava la solita scia di devastazioni: case scoperchiate; attività commerciali e produttive in ginocchio (come il Regent Hotel di New Orleans, dove sono «esplose» un centinaio di finestre); imbarcazioni fatte volare come aerei fino in terraferma; piccoli aerei scaraventati in mare; semafori e segnali stradali divelti; 650mila famiglie senza corrente elettrica... Poi, la frenata e la correzione di rotta verso il Mississippi (dove è stato dichiarato da George W. Bush lo stato di calamità naturale) e l’Alabama, trasferendo paura e devastazione nelle città costiere di Biloxi e Mobile. E non basta: l’apprensione riguarda ora un altro Stato della terra del Dixie, il Tennessee, più a nord, dove si teme anche l’arrivo di devastanti trombe d’aria.
Ed è già anche l’ora di iniziare il conteggio delle vittime, anche se l’esperienza, in queste circostanze, insegna che per avere il numero esatto di quelle dirette ci vorranno diversi giorni, almeno fino alla normalizzazione della situazione atmosferica. Ma Katrina, che aveva ucciso 7 persone giovedì scorso, nel raid sopra la Florida, è già costata ieri la vita, pur se indirettamente, a tre anziani, ospiti di una casa di ricovero di New Orleans. Non hanno retto all’estenuante viaggio di evacuazione verso una chiesa di Baton Rouge, dove era stato allestito un rifugio.

Uno è morto sull’autobus, uno appena arrivato a destinazione e il terzo in ospedale.

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