Cronache

«Il futuro responsabile di Palazzo San Giorgio dev’essere un manager»

(...) «Stia tranquillo. Quando finirà il mio mandato lo scriverò direttamente io».
Quando finirà il suo mandato? Si ricandida?
«Ho già comunicato da tempo al ministro dei Trasporti Bianchi e al presidente della Regione Burlando la mia decisione. Ma, per correttezza istituzionale, aspetto a risponderle».
Però può rispondermi sul perché, in città, tutti danno per scontato che lei non rimanga per il secondo mandato.
«Forse temono che possa rimanere e continuare a mettere il naso in interessi consolidati».
Lei era un distinto signore, che poteva passare la sua vita in azienda o in barca, godersela, frequentare i migliori salotti della città ed essere amico di tutti. Da quando è andato a Palazzo San Giorgio si è attirato gli strali di una parte della città che conta. È pentito di aver accettato di guidare l’Autorità portuale?
«Assolutamente no».
Sicuro sicuro?
«Certo non avrei mai pensato di trovare un ambiente così».
Ma lei non ha sbagliato niente? Alcuni di coloro che oggi la criticano e la insultano sono i suoi grandi elettori di un tempo.
«Forse pensavano di mettere lì un presidente fantoccio. Ma non lo sono stato. Ho messo il naso ovunque. Ho cercato di gestire il porto come un imprenditore. Soprattutto, ho cercato di fare gli interessi di tutti, non solo di alcuni. Mi portassero un’accusa precisa, una!».
Dicono che ha bloccato il piano regolatore portuale del 2001.
«Lo dicono, ma è falso. L’ho portato avanti completamente, tranne un accosto per le autostrade del mare a Voltri. Fine».
Aveva promesso di riportare le navi della Costa a Genova. E invece sono ancora a Savona.
«La scelta che portò all’addio di Costa a Genova è stata presa prima del mio insediamento. E, fra l’altro, le loro richieste non erano lunari: non chiedevano una banchina in esclusiva, ma solo che il ponte fosse gestito da armatori di navi da crociera. Stazioni Marittime disse di no e si è visto come è andata a finire. Fortunatamente, poi, Msc è cresciuta e la botta si è riassorbita. Addirittura, per la mole di traffico, oggi Costa sarebbe quasi un problema».
Dicono che ha esagerato con i consulenti.
«È vero che ho fatto uno studio per modernizzare la struttura. Ma è anche vero che le consulenze sono meno del cinquanta per cento di prima».
Dicono che si è fatto nominare dalla destra e poi è andato subito a sinistra.
«Io sono un tecnico, che è stato nominato da Camera di commercio, Comune di Pericu, Provincia di Repetto; che è stato spinto e aiutato da Claudio Scajola, che ne ha parlato con l’allora ministro Lunardi, e accettato da Sandro Biasotti. Oggi ho ottimi rapporti personali e istituzionali con tutti, ma resto fuori dalla politica».
Quando è stato nominato, facevano a gara a mettere il cappello sulla sua nomina. Oggi la evitano per strada. È una sconfitta?
«La considero una grande vittoria».
Sia sincero.
«Lo sono. Ho schiacciato qualche callo ed ho recuperato 12-13 milioni di euro di canoni. È una vittoria».
Dicono che si è appiattito troppo sul waterfront di Piano, anziché esserne la controparte che tenesse conto delle esigenze degli operatori portuali. Non sembra un’osservazione peregrina.
«L’ho sposato fin dall’inizio, insieme alle istituzioni. Poi, sono stato attaccato da chi prima l’ha approvato a parole, poi ha seguito tutte le modifiche passo passo, poi in privato dice che Piano non capisce niente. Renzo Piano, il più grande architetto del mondo! Ragionano come il negoziante di ferramenta che lavora senza problemi in una casa diroccata e si oppone ai lavori alla facciata perché ha paura che possa arrivare la concorrenza».
Chi sono i suoi nemici?
«Luigi Negri, rappresentante dei terminalisti. Un armatore, Messina. Il presidente degli industriali, Marco Bisagno».
Non propriamente “pizza e fichi“, come si dice a Roma. Come può governare il porto contro operatori di questo calibro?
«Per tre che mi criticano, ce ne sono 697 che mi appoggiano. Primo fra tutti Batini».
È proprio sicuro di essere così amato da tutti gli altri?
«Tutti tutti, no. Non sono amato da chi ho strigliato. Ad esempio, non ho apprezzato le dichiarazioni di Filippo Gallo, presidente degli agenti marittimi, che ho letto sulla rivista Cargo Systems, edita negli Usa e spedita in tutto il mondo: “Il porto sta morendo una morte lenta. Non possiamo far arrivare le navi di portata superiore ai 5.000 teus. E non possiamo nemmeno dire agli utenti quando la situazione cambierà. Al momento, non abbiamo futuro da vendere“. Ho preso carta e penna e l’altro giorno gli ho scritto una lettera pregandolo di astenersi da ulteriori dichiarazioni negative, nell’interesse di chi opera in porto».
Perché lei riesce a farsi così tanti nemici?
«Tutto è iniziato quando ho mandato via Carena».
Ma l’aveva nominato lei, era il suo braccio destro.
«È vero. Quando mi sono accorto di aver sbagliato, l’ho rimosso».
Ma se non andava bene per il porto, perché l’ha messo all’aeroporto?
«È stata una soluzione di compromesso, voluta dalle istituzioni».
Già che siamo sull’aeroporto, non fareste meglio a vendere le vostre quote?
«Pensi che anche quello di New York è nelle mani dell’Autorità locale e hanno chiesto informazioni a noi...».
Presidente, il Colombo non è propriamente il Kennedy Airport...
«...Intendiamoci, non sono contrario a cedere le nostre quote, ma non per darle a Comune o Provincia. È sul mercato. Io, ad esempio, avevo trovato gli investitori argentini. Non piacciono? Me ne portino altri, ma non giochiamo sulla pelle di 200 persone che lavorano molto bene e portano un indotto di altre 800».
Lavoreranno anche bene. Ma l’aeroporto non è un modello di successo.
«Se non ci sono i viaggiatori, non è colpa dell’aeroporto. Abbiamo portato nove linee nuove e sei se ne sono andate per mancanza di passeggeri. Ha chiuso il volo per Amsterdam che portava la gente quattro volte a settimana per 39 euro. La British riempiva gli aerei da 140 posti con 32 persone in media..».
Non sarebbe meglio destinare lo spazio aeroportuale alle banchine?
«Io sono favorevole».
Per portare lo scalo nel Basso Piemonte?
«È un’ipotesi non percorribile con gli attuali collegamenti».
E dove allora? Non mi dica che lei crede all’isola aeroportuale?
«Ci credo».
Ma costa una cifra. E senza viaggiatori non si paga.
«Se l’extragettito previsto dalla Finanziaria resta a casa nostra, l’aeroporto si paga con il traffico delle nuove banchine. Certo deve servire per quello. Se, invece, l’extragettito si mette su altre infrastrutture, il discorso è più difficile».
L’extragettito come il tesoretto?
«Esatto. Ma, purtroppo, è uno solo».
Bene le acciaierie di Riva o sarebbe stato meglio un distripark?
«Anche Riva è porto. E lavora».
Il retroporto dove?
«Avevamo scelto Alessandria, ma il nuovo sindaco è contrario. Per noi va bene la proposta di Moretti per gli spazi Fs e anche Rivalta Scrivia, a patto di arrivarci prima degli altri».
Tutti d’accordo?
«Un importantissimo armatore ha detto: “La proposta è ottima. Peccato che la faccia Novi“».
Il porto cresce?
«A settembre, i contenitori del 21 per cento; le merci del 5,3. Siamo il primo porto italiano, il secondo del Mediterraneo dopo Marsiglia».
È fisiologico, dicono. In Spagna Barcellona e Valencia crescono molto di più.
«Per il Pil dell’area che sta alle nostre spalle, cresciamo benissimo. Il Pil spagnolo cresce ad altri ritmi».
Se le cose vanno così bene, perché la attacca anche la stampa?
«Non mi attacca la stampa, mi attacca un giornale locale».
Se le cose vanno così bene, perché la attaccano i maggiori operatori?
«Siamo di fronte a un caso di autolesionismo incredibile. Attaccando il presidente, attaccano il porto. Forse, hanno paura che vada troppo bene e porti altri operatori, toccando il loro orticello. C’è molta Genova, in tutto questo: non è importante che vada bene tu, l’importante è che non cresca il tuo vicino».
Eppure, per l’elezione del nuovo presidente di Confindustria sono monolitici a favore di Bisagno, che è un suo antagonista. Sembra quasi che lo facciano in sfregio a lei.
«Credo che lei riporti una leggenda metropolitana. Non mi risulta siano così schierati con Bisagno. Anzi».
Novità sui terminal?
«Si litiga per averli e poi non li si sfrutta al massimo. Non parlo per tutti, ovviamente. Ma l’impressione è che qualcuno punti solo a rivendere le concessioni...».
Dicono che lei sia troppo pappa e ciccia con i camalli.
«Anche con gli operai delle riparazioni, se è per questo. Parlo volentieri con Paride Batini o con Tirreno Bianchi perché, come me, hanno a cuore il futuro del porto e ne capiscono di shipping».
Anche Spinelli è fra i suoi sostenitori.
«È una persona simpatica, che fa i suoi interessi. Se coincidono con quelli del porto, non vedo dove sia il problema».
Come mai i comitati portuali sono diventati un tutti contro tutti?
«Non so se sia così. So che io ci porto tutti gli argomenti. In passato si è venduto addirittura un bacino galleggiante senza passare dal comitato...».
Se non sarà più presidente, cosa farà, oltre a scrivere il libro?
«L’azienda l’ho ceduta ai miei figli. Il libro è sicuro. Sul resto, vedremo...».
Perché i suoi nemici sono sempre sui giornali, mentre i suoi amici non si espongono?
«Lo fanno in privato. In pubblico mi dicono che è meglio di no, “sai Giovanni, maniman...“».
La politica da che parte sta?
«In questi anni non mi hanno mai chiesto niente di sbagliato, destra e sinistra. Sono più maturi del mio mondo».
La magistratura?
«Sono indagato per denunce fasulle. Credo verrà presto archiviato tutto».
Dicono che lei è un po’ troppo naif.
«Dico ciò che penso. Non sono un politico, certo».
Come si sta da bersaglio dialettico fisso?
«Mi sono arrivate anche lettere anonime e minacce. Quei due galantuomini del prefetto e del questore mi hanno anche dato la protezione per venti giorni. Pensi che non me ne sono accorto e l’ho scoperto solo dopo, quando me l’hanno detto».
Facciamo un gioco. Se lei non dovesse ricandidarsi o non dovesse essere confermato, chi vorrebbe come successore?
«Anche un politico, ma che conosca benissimo i traffici marittimi e i porti.

Un genovese».
Massimiliano Lussana

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