Günter Grass, la confessione va all'’incasso

L’'autobiografia contestata si sta rivelando un grande colpo economico

L’attuale dibattito sulla militanza volontaria nelle Waffen-SS di Günter Grass va ben al di là del sensazionalismo estivo perché riapre una ferita, mai del tutto cicatrizzata: quella della Germania, che continua inesauribilmente a fare i conti col suo passato. Ma questa volta la tragedia si colora di una lugubre farsa grottesca. Grass, l’autorevole Premio Nobel per la Letteratura, il tedesco più noto nel mondo (s’intende, dopo Schumacher), autore di almeno un capolavoro indiscusso, Il tamburo di latta (1959), e di numerosi altri romanzi dal valore letterario assai discusso e discutibile, in occasione dell’uscita di È una lunga storia (Einaudi), l’immenso romanzo, fallito, dedicato alla riunificazione tedesca, venne duramente attaccato dal «papa» della critica letteraria Marcel Reich-Ranicki. Era un altro agosto, in cui pure infuriarono le polemiche, che peraltro contribuirono a decretare il successo editoriale di un libro altrimenti poco godibile, farraginosamente costruito e pesantemente ideologizzato nel denunciare l’avidità occidentale nel processo di riunificazione a svantaggio degli ingenui tedeschi orientali.

Grass da decenni domina la scena letteraria tedesca, di cui già dai tempi del mito «Gruppo 47» è stato uno dei principali protagonisti, delineandosi per il suo rigoroso, coerente impegno per la SPD, per il partito socialdemocratico, di cui sostenne in prima fila parecchie campagne elettorali. Grass si è sempre distinto per una forte militanza a sinistra, ergendosi a figura carismatica della Germania neutrale, attenta al dialogo con i Paesi del «socialismo reale». Accanto alla sua comprensione per le vicissitudini dei Paesi dell’Est, ha sempre mostrato un’inflessibile coscienza democratica, antifascista, inesorabile nel condannare ogni manifestazione che lui riteneva indicare una continuità, ancorché segreta, con il vergognoso passato nazionalsocialista, la vera ulcera della storia tedesca.

Ora è di nuovo agosto e di nuovo una polemica ha annunciato la pubblicazione della sua autobiografia Sbucciando cipolle. Anzi, le interviste concesse hanno convinto la casa editrice ad anticiparne l’uscita prevista per l’1 settembre, sicché nel giro di due giorni la prima edizione di 150mila copie è già andata esaurita, i diritti sono stati venduti in 12 Paesi e si prevede un boom inarrestabile, perché è comprensibilissima la curiosità destata dalla confessione tardiva - dopo più di sessant’anni - di aver militato nelle Waffen-SS e non nella contraerea, come lo scrittore aveva sempre sostenuto. Non pago di questa strepitosa e in realtà drammatica ammissione, Grass ha aggiunto che nel campo di prigionia giocava a scacchi con il giovane Ratzinger, destinato a diventare Papa Benedetto XVI, anche se ora è costretto a fare una grottesca smentita poiché le SS erano detenute in una zona separata.

Tutta questa storia è penosa soprattutto perché distrugge per una «manciata» di milioni di euro una vita dignitosa. Ma lo scandalo è necessario per capire meglio la tragedia tedesca ed è opportuno per ridimensionare la statura morale e politica di Grass.

Un solo episodio per comprendere chi è Grass. Il 5 maggio 1985 il cancelliere Kohl visitò con il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan il cimitero militare di Bitburg dove, fra migliaia di soldati, erano stati sepolti anche 49 uomini delle Waffen-SS. Il giorno dopo Grass tenne un discorso durissimo, che apparve il 10 maggio sulla rivista Die Zeit, vicina ai socialdemocratici, in cui denunciava Kohl per la sua visita inopportuna. Kohl con grande dignità rispose ricordando che dei 49 caduti, trasportati a Bitburg da cimiteri vicini, 32 erano giovanissimi, 17, 18, 19 anni. Ora sappiamo che uno di questi sarebbe potuto essere anche un soldato di Danzica, Günter Grass.

Lui ebbe fortuna, fu fatto prigioniero dagli americani e si è preoccupato di nascondere questo episodio per 60 anni. Ora ha parlato, il libro venderà moltissimo. Avremo un’altra occasione di riflettere sul valore letterario di questa sua autobiografia, ma ora la Germania e l’Europa hanno perso un maestro. E per sempre.

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