G20 a rischio flop, Obama in difficoltà ora cerca l’appoggio di russi e cinesi

Una nuova era nei rapporti con Mosca, ma soprattutto una nuova America, più umile, disposta ad ascoltare gli altri, a tratti arrendevole. Bush ha lasciato la Casa Bianca nemmeno due mesi fa, ma è come se fosse passato un decennio. E se è innegabile che con Obama l'immagine degli Stati Uniti è migliorata straordinariamente, l'impressione è che l'autorevolezza e la capacità di incidere sui destini del mondo sia diminuita in modo marcato. Il nuovo presidente non ne ha colpa, ma è costretto a subire gli effetti di una crisi finanziaria nata negli Usa e che gli Usa, da soli, non possono risolvere. L'America è costretta a chiedere e dunque a concedere. Alla Russia, ed era previsto; ma anche alla Cina, con un gesto simbolico poco mediatico ma, politicamente, molto significativo.
Nella prima giornata a Londra Obama ha incontrato il presidente Dmitri Medvedev in un clima di grande cordialità e di simpatia reciproca, agevolato dall'età; sono entrambi giovani e insieme fanno 90 anni. Facile auspicare la fine dei toni da guerra fredda, e più in generale, l'inizio di una nuova relazione tra i due Paesi, che conviene a entrambi. Washington deve ridimensionare i piani per il controllo dello scacchiere euroasiatico e non vuole tensioni geostrategiche, Mosca a sua volta può ripristinare l'influenza in alcune zone ex sovietiche ed è ben lieta di dare una mano alla stabilizzazione dei mercati finanziari.
Il summit ha sancito la ripresa di negoziati per la riduzione degli armamenti nucleari strategici, con l'obettivo di sostituire il Trattato Start 1 che scade a fine anno. È l'unico risultato concreto, mentre su altri temi, rimangono le differenze; ma è un primo passo, a cui presto seguiranno altri; probabilmente già a luglio, quando Obama si recherà in visita a Mosca. L'obiettivo è di giungere a soluzioni condivise su tutti i dossier “caldi”: Washington vuole trovare un'intesa sull'Iran, Mosca sull'Ucraina, entrambi sono preoccupati dalla Corea del Nord e si dicono pronti a cooperare in Afghanistan. Ed è verosimile che alla fine lo scudo spaziale nell'Europa dell'est venga congelato. Insomma, la via è segnata.
Obama ha incontrato anche il presidente cinese Hu Jintao, che, a conclusione del G20, tornerà a Pechino con un accordo che alza il profilo internazionale del suo governo. Già, perché Washington ha accettato la creazione di un «gruppo congiunto per il dialogo strategico ed economico», a cui parteciperanno i ministri del Tesoro e degli Esteri, per collaborare su temi come la crescita economica, la denuclearizzazione della penisola coreana, il programma nucleare dell'Iran, l'emergenza umanitaria nel Sudan, le questioni ambientali. Washington riconosce così l'importanza di Pechino e svela un atteggiamento che non è più quello della superpotenza, dall'alto in basso, ma tendenzialmente sempre più paritario e che la visita a Pechino del capo della Casa Bianca, nella seconda metà dell'anno, accentuerà ulteriormente. Non è un caso che i diritti umani siano scivolati in secondo piano.
In questo momento conta solo l'economia e con Pechino l'intesa, per ora, regge. I dissapori sono soprattutto con l'Europa. Ieri il premier britannico Gordon Brown e lo stesso Obama, in conferenza stampa, hanno tentato di ridimensionare le aspettative per l'odierno G20.

Nonostante le forti pressioni esercitate dagli americani, la Ue ha già bocciato l'idea di una manovra coordinata mondiale. Ma Obama minimizza i contrasti. Su come superare la crisi, dice, c’è un «enorme consenso».
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