G8, COMMISSIONI E LA VERITÀ

G8, COMMISSIONI E LA VERITÀ

Fin da quando eravamo piccolini e si giocava a guardie e ladri, mi è sempre piaciuto stare dalla parte delle guardie. Lo sono sempre anche oggi, persino quando chi viola la legge ha qualche attenuante. Ad esempio, è giusto punire severamente gli evasori fiscali, ma forse sarebbe più giusto se le aliquote non fossero folli, ai confini del 50 per cento, vere e proprie rapine legalizzate. Eppure, anche se una legge è sbagliata, si lotta alla morte per cambiarla, ma la si rispetta. Quindi, ad esempio, si fanno gli scontrini. E non si fa politica, come è accaduto anche a una parte del centrodestra nostrano, solidarizzando con chi non li emette.
In questo quadro, durante il G8 siamo stati senza alcun tentennamento dalla parte dei poliziotti. Chiaramente non di quelli (e ci sono stati) che hanno infierito su ragazzi inermi, ma di tutti gli altri sì. Non abbiamo avuto alcun dubbio su chi fossero i buoni e chi fossero i cattivi. Bastava vedere la nostra città in ostaggio di orde barbariche (altro che black bloc infiltrati!), spesso coperte dal corpaccione inerte del «movimento».
É qualcosa che abbiamo sempre detto e scritto. Oddio, non che ci volessero dei geni. Bastava dare un’occhiata alle immagini o anche aver vissuto almeno qualche minuto in città in quei giorni di fine luglio 2001. Bastava aver parlato con qualche abitante della Foce, di San Martino, di corso Italia, trasformati in osceno campo di battaglia dai manifestanti «pacifici» per autodefinizione e definizione politicamente corretta. Bastava non essere ciechi e sordi. E credo che la commissione parlamentare di inchiesta votata dall’Unione nei giorni scorsi, che promette di essere un processo a senso unico, rischi di dare nuova voce e nuova linfa ai ciechi e ai sordi.
Fortuntatamente - al di là della «verità» che tanto successo ha nella pubblicistica dei giornali e delle televisioni e al di là delle frasi ad effetto sulle «macellerie messicane» - l’ha raccontato nel modo più serio e più chiaro possibile un magistrato genovese, uno di quei giudici che ci regala una nuova fiducia nella magistratura e che onora la Procura guidata da Francesco Lalla. Si chiama Andrea Canciani ed è uno di quelli il cui nome si legge raramente sui giornali. Il che, già, è un’ottima credenziale.
I lettori del Giornale lo sanno, visto che alla sua requisitoria abbiamo dedicato la prima pagina nazionale. Quelli di altri giornali, lo sanno meno. Ma credo che le parole di Canciani meriterebbero di essere stampate a caratteri cubitali, alla faccia di ogni commissione. Anche perchè il pm ha ricordato di come i centralini delle forze dell’ordine fossero subissati di chiamate di cittadini che chiedevano aiuto: «Non è vero che ci sia stata una caccia all’uomo da parte delle forze dell’ordine su manifestanti inermi, perchè il corteo di via Tolemaide delle tute bianche non era composto da pacifisti.

Si è trattato di persone che hanno scelto deliberatamente di contrapporsi alle forze dell’ordine; non si stavano difendendo, nè erano in pericolo di vita. E mi chiedo cosa facessero i vari parlamentati presenti al corteo. Eppure erano chiare a tutti le immagini di quella guerriglia».
Ha detto tutto lui. C’è un giudice a Genova.

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