G8, i buchi dell’indagine che scagionano i vertici della polizia

Falsi, omissioni e tabulati scomparsi: così sono state ignorate le prove che smontano la «catena di comando» con De Gennaro

G8, i buchi dell’indagine che scagionano i vertici della polizia

nostro inviato a Genova

Nel processo ai poliziotti di Genova spuntano omissioni, tabulati scomparsi, maldestre trascrizioni, falsi materiali: tutto a favore dell’accusa. I testimoni buoni sono solo i no global e i poliziotti che collaborano, il resto non conta. La convinzione del Pm è che la «catena di comando» per il blitz alla Diaz aveva base a Roma, e per giustificare gli arresti ci si è inventati un’aggressione alle auto della polizia, si sono piazzate le molotov a scuola, si è «costruita» la coltellata all’agente Massimo Nucera. Ma così non è.
Tutto inizia sabato 21 luglio 2001 quando quattro macchine della polizia percorrono via Cesare Battisti, dirimpetto la Diaz. Più cittadini (nessuno dei quali mai convocato dal Pm in aula) chiamano il 113 poiché notano ragazzi con caschi, bastoni, abiti neri. Ad una jeep blindata della polizia, presa a sassate e sprangate, viene sfondato il vetro anteriore (come dimostrerà il carrozziere, mai chiamato in aula). Il Pm, però, crede ai no global che negano l’aggressione e spiega che non è stato possibile sentire i poliziotti perché non identificabili, quand’invece già identificati grazie al funzionario Antonio Sbordone e a un’altra inchiesta su alcuni agenti del Reparto Mobile di Roma.
A un certo punto il Pm chiede l’acquisizione dell’audio delle telefonate del «113» che avviene attraverso un Dvd Ram il cui ascolto può compiersi solo con un raro software in possesso di un’unica ditta in Italia. Il consulente del Pm, a tempo di record, decritta e ascolta tutte le 14.578 telefonate con una media di 182 registrazioni al giorno per 80 giorni. Alla fine fa una «selezione» riportando appena 73 trascrizioni, tralasciando le chiamate dei cittadini che smentiscono l’accusa, «modificando» le parole di una conversazione tra il centralinista della questura e una pattuglia che viene invitata a lasciar perdere la zona perché trafficata di black bloc. La manipolazione di fatto trasforma un luogo di guerriglia in un’oasi di pace: «Allora ce ne andiamo» dice il capopattuglia. «Sì andate via» conferma l’operatore. Questo scambio di battute misteriosamente diventa: «Allora ci andiamo», «Sì, andate».
Altro giallo è quello della scomparsa dei tabulati telefonici fondamentali per il processo. Fino a quando le difese non hanno sollevato il problema, infatti viveva esclusivamente una «rielaborazione» dei traffici da parte della polizia giudiziaria. L’imbarazzo è diventato palese quando il procuratore capo ha aperto un fascicolo riacquisendo tutti i tabulati già inviati alla Squadra mobile di Genova, diretta da Claudio Sanfilippo, altro «sbirro» lodato dalla procura per l’apporto collaborativo portato. Sanfilippo in aula non fa una gran figura. Prima nega i tagli alle telefonate e poi, di fronte all’evidenza dei tabulati originali, ammette «al massimo una valutazione degli orari da prendere in esame, e comunque quelle tagliate sono telefonate personali e non importanti». Eppure il buco orario è vastissimo (dalle 02 alle 7 del mattino) e le telefonate sono importantissime perché riscontrano in pieno le dichiarazioni degli imputati.
Altro poliziotto «buono» per la procura di Genova è Lorenzo Murgolo, vicario della questura di Bologna, la cui posizione è stata subito archiviata dai Pm perché «non riconducibile né all’Ucigos né allo Sco». Murgolo si sarebbe anche salvato in quanto, a detta dei magistrati, pur essendo presente alla Diaz non era un ufficiale di polizia giudiziaria ma solo «vicario». Una considerazione che non sta in piedi. Secondo la difesa, che esibisce il Ddl 334 del 2000, il vicario è ufficiale di Pg solo nel luogo dove svolge tale funzione, in questo caso Bologna, non Genova. Stando alle testimonianze di più funzionari, Murgolo era andato alla Diaz proprio nelle vesti di ufficiale di Pg, per «coordinare le operazioni», inviato dal vice capo della polizia Ansoino Andreassi «in sostituzione del dottor Lapi». Il questore Francesco Colucci, oggi indagato per aver cambiato versione su Murgolo (per ordine di De Gennaro) in realtà il nome del vicario di Bologna l’aveva fatto sin dal 28 agosto 2001 nella sua audizione parlamentare sui fatti di Genova. «Mi doveva affiancare per l’ordine pubblico, lui si è offerto e si è recato sul posto. A questo punto vi erano sia la linea di comando sia l’organizzazione». La difesa fa inoltre presente che Murgolo è l’unico poliziotto ad esser stato riconosciuto da uno dei manifestanti feriti, tale Kermann Dirk. Tra i poliziotti accusati d’aver cambiato versione in aula su Murgolo c’è anche Vincenzo Canterini, comandante del Reparto Mobile di Roma, che in realtà di Murgolo aveva così parlato a verbale il 21 settembre 2001: «Poi (nella riunione in questura, ndr) è intervenuto Murgolo per dire che prendeva (lui, ndr) le due colonne» con il personale per la Diaz.
Di Murgolo parla invece bene il terzo poliziotto, considerato dalla procura «fuori dai giochi di potere». È il vicecapo della polizia, Ansoino Andreassi, anello di congiunzione con Gianni De Gennaro, e mai indagato. Andreassi spiega d’aver mandato Murgolo alla Diaz solo per tenerlo al corrente dell’evoluzione della vicenda e per «interloquire con gente che era tra la massa dei partenti alla stazione di Brignole». Le immagini e le telefonate al 113 sembrano dargli torto. Nella chiamata delle ore 1.28.25 Murgolo pare infatti attivarsi nelle operazioni-Diaz: urla al telefono del 113 di mandare subito il pullman «perché siamo mezzi circondati» e perché c’è da «portare via tutti i prigionieri».
Andreassi si è sempre difeso sostenendo che a partire dal pomeriggio di sabato 21 luglio lui non comandava più nulla. Quanto alla perquisizione serale alla Diaz, nello stesso interrogatorio in aula, offre due versioni: dice di «averla vissuta come una calamità, un fastidio, nel quale francamente non pensavo di essere coinvolto perché altre persone erano state incaricate». E implicitamente si assume la paternità dell’operazione affermando che «se lì dentro si erano rifugiati 200 scalmanati, che avevano aggredito il pattuglione, bisognava andare a prenderli». L’ex vice di De Gennaro viene incidentalmente beneficiato dal giallo del «taglio» sui tabulati telefonici in quanto Sanfilippo comunicò alla procura l’esistenza di due sole telefonate di Andreassi, omettendone centinaia che comprovavano il suo ruolo nelle operazioni in corso. Tra i tagli c’è la chiacchierata animata con Agnoletto alle 00.26.

44, in pieno blitz, scoperta casualmente dalla difesa vedendo un filmato, che dimostra come gli arresti erano già stati effettuati ben 15 minuti prima che comparissero le molotov alla Diaz, e che quindi le bottiglie non erano state portate lì per giustificare gli arresti. A proposito di molotov: i magistrati si sono chiesti chi viaggiava sull’auto della polizia che avrebbe trasportato quelle bombe incendiarie rinvenute alla Diaz?
(1-continua)

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