In quanti modi riesce a trovar sfogo la commozione? Son tutte ormai vecchie volpi della politica, anche i ragazzini Giorgia Meloni e Angelino Alfano, i nuovi ministri che giungono al Colle per il giuramento di rito, ma ugualmente emozionati come diciottenni al ritiro del diploma di maturità. Anche Roberto Maroni, che pure è al quarto giuramento, mentre sale lo scalone donore ammette che «sì, un po di emozione ce lho ancora», mentre il novizio Luca Zaia, che gli sta aggrappato con le ginocchia e i gomiti irrigiditi rantola: «Altro che emozionato, sono senza saliva». Pomeriggio di ieri al Quirinale, giura il quarto governo di Silvio Berlusconi e si replica un rito, una festa intrisa destasi e tormento sempre uguale e sempre nuova. Che sia questo impasto di umanità e retorica, il lievito della democrazia?
È un po emozionato anche il vostro cronista, che tra prima e terza repubblica di giuramenti ne avrà raccontati una ventina, e anche questa volta ha raccolto da una sedia degli incoronati il cartoncino con la formula rituale: «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nellinteresse esclusivo della nazione». Sempre uguale, stessi caratteri e stesso inchiostro azzurro, a dimostrazione che la Presidenza della Repubblica non cambia mai chiunque ne sia linquilino, oppure che trentanni fa di quei bristol ne han stampati troppi e occorre una quarta Repubblica per mandarli al macero. Ma stiamo divagando forse, meglio tornare allinfinito manifestarsi dellemozione.
Ecco allora Renato Brunetta che giunto nel salone delle feste, vede Mara Carfagna e le corre incontro esclamando «fatemela abbracciare!», centrando con la testa lobiettivo. Ignazio La Russa che non sta zitto un minuto, mancano cinque minuti allinizio della cerimonia e gira freneticamente da una telecamera ad un microfono parlando, parlando, «andrò sulla tomba di mio padre». Andrea Ronchi, che quando il segretario generale Donato Marra, notaro del giuramento, lo chiama al tavolo dove Berlusconi e Napolitano aspettano come istitutori, salza come un calciatore in panchina, si fa il segno della croce e quasi controllerebbe lacci e tacchetti, si fionda in campo ma finisce con lincespicare sul giuramento. Sandro Bondi, che sasciuga la pelata in continuazione, anche quando è asciutta. Claudio Scajola che non è certo un novellino, ma incautamente alzando gli occhi dal cartoncino dice «Italia» invece di «nazione». Umberto Bossi, anchegli ormai di lungo corso, che arrivando fa il duro, «chi diavolo ci ferma!», ma se ne va commosso, «io partito dal paesello, sono arrivato qui».
Però son le donne, che rubano la scena e catturano lattenzione della bolgia di giornalisti, operatori e parenti costretta nel recinto degli ospiti. Tutte e quattro in tailleur pantalone, forse la gonna è poco ministeriale. E più son giovani più si ingrigiscono, cercando lanzianità autorevole. La Meloni è in grigio rigato, fa la grande: «Debuttante e fedelissima sono termini che non mi piacciono». Mariastella Gelmini è in nero e sorride, per loccasione sfoggia leggeri colpi di sole. La Carfagna veste «in cotone grigio Armani», ci spiega una collega esperta in look - cioè grigio chiaro - con sandali aperti e «senza calze». Per Stefania Prestigiacomo sè aperto un dibattito tra i giornalisti: quelli di sinistra la vedevano in viola e quelli di destra in blu notte, la sua addetta stampa sè affrettata ad informare che trattavasi di «un modello Alberto Biani in blu marine», la nostra esperta ha mediato su «un punto indescrivibile di viola che savvicina molto al prugna». Tantè che alla fine, per le foto di rito, gli obiettivi cercavano solo le quattro. Uniche eccezioni, prima Napolitano accanto alla Meloni e Berlusconi accanto alla Carfagna, poi un gruppo a quattro, Napolitano, Prestigiacomo, Berlusconi, Carfagna, con occhiatacce al piccolo ministro che sostinava a non farsi da parte.
È stato il varo del 60° governo repubblicano, una festa nervosa ma intensa. E rapida: iniziata alle 17,03 con lingresso dei due presidenti e i 21 schierati sulla doppia fila di poltroncine lestamente in piedi, è terminata 15 minuti dopo. Son poi andati tutti nellaltro salone per il brindisi «riservato»: prosecco indecifrabile e «in verità caldo», rivela Roberto Calderoli, con poche tartine «ma meglio così perché anche al Quirinale bisogna tagliare, tagliare», ghigna allegro il titolare della Semplificazione normativa. Una cerimonia col giusto grado di solennità istituzionale, rotta soltanto quando al tavolo del giuramento è arrivato La Russa che letta la formula ha allungato la mano a Napolitano che ha ricambiato sorridente, ma quando il ministro della Difesa lha tesa al premier questi, invece di rispondere, sè passato le dita a forbice sotto il mento, con sguardo finto burbero. Già, avevano scommesso che in caso di vittoria La Russa avrebbe rinunciato al suo celebre pizzo mefistofelico. «Però lho spuntato», sè difeso poi La Russa, che sul momento sè imbarazzato tanto da andarsene dimenticando di firmare il verbale. Berlusconi lo ha richiamato, abbracciandolo.
Limmagine da affidare agli archivi della politica e del potere è però la piccola fila di grand commis schierati come statue tra le sedie dei ministri e il tavolino dei due presidenti. Spiccava tra loro Gianni Letta, immobile e silente come un cardinal vicario. Solo Giulio Tremonti, dopo aver giurato, è andato a salutarlo e abbracciarlo, infrangendone limmobilità.
Quella più umana invece, lha resa la famigliola di Bossi, che assisteva anchessa coi giornalisti. I tre ragazzi stupiti e frastornati, la moglie Manuela emozionata ma soddisfatta: «Questa è la dimostrazione che quando si vuole sul serio una cosa, si riesce ad ottenerla. Bisogna crederci. Sempre».
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