Cultura e Spettacoli

GALIMBERTI Filosofia del «copia e incolla»

«L’ospite inquietante», il libro del pensatore e psicologo, somiglia troppo (al limite del déjà-vu) al saggio di una studiosa meno nota: Giulia Sissa

A leggere L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, di Umberto Galimberti (Feltrinelli, 2007, pagg. 180, euro 12) la sensazione di déjà-vu raggiunge proporzioni tali da mettere in ombra le altre solite e collaudate proprietà del discorso filosofico del Nostro: l’inconcludenza, la laudatio arcadica, l’assenza di argomenti genuinamente filosofici... Ma si tratta di lavorare di memoria per risalire alle fonti del testo (e del pensiero) galimbertiano. Prendiamo il libro Le plaisir et le mal (Paris, Odile Jacob, 1997, traduzione italiana: Il piacere e il male, Feltrinelli, 1999) di Giulia Sissa. Il libro è effettivamente citato (una sola volta e di sfuggita, a pagina 71) nell’Ospite inquietante, ma la sua menzione è sommersa in una fitta selva di note e rinvii, e il titolo dell’edizione italiana viene reso, sia in nota sia nell’indice, con Sesso, droga e filosofia, che in realtà è il sottotitolo del libro. Quel che segue è il risultato di una lettura comparata dei due testi.
Galimberti scrive che «iniettarsi eroina si dice in italiano “bucarsi”. Il corpo si fa “abisso”, che etimologicamente significa “senza fondo”. Allo stesso modo in francese “essere alcolizzato” si dice “bere come un buco (boire comme un trou)”. Tossici e alcolizzati parlano in greco antico e descrivono la loro incapacità di “contenere” con immagini platoniche». Confrontiamo ora con Il piacere e il male di Giulia Sissa: «Iniettarsi eroina si dice, in italiano, bucarsi \. Il corpo si fa abisso - che significa, etimologicamente, “senza fondo” \. Essere alcolizzato si dice, in francese, “boire comme un trou”, bere come un buco. \ E, anche se non parlano il greco attico, \ lo dicono con immagini platoniche».
Galimberti: «perché il desiderio è \ come la “giara bucata”, per stare alle immagini di Platone, o come il “piviere” che è quell’uccello che mangia e nello stesso tempo evacua».
Sissa: «in un linguaggio intessuto di immagini, Platone la rappresenta \ sotto forma di una giara sfondata, di piviere (un uccello che mangia e defeca nello stesso tempo)».
Galimberti: «Sotto questa forma il desiderio ci fa provare un dolore insopportabile eppure irresistibile, e il piacere che ne segue è cessazione di questa pena, anestesia, piacere negativo \».
Sissa: «È ormai sotto questa forma che il desiderio si fa provare: un dolore insopportabile eppure irresistibile. È così che il piacere viene a essere trasformato: cessazione di questa pena, non-dolore, piacere negativo».
Galimberti: «Freud, dopo aver fatto uso per diverso tempo di cocaina, chiama la droga Sorgenbrecher, ciò che consente di “scacciare i pensieri”, di non “prendersi cura” e, come lui stesso scrive, “il più antico rimedio contro il disagio della civiltà”. Grande lettore di Goethe, Freud aveva meditato sul Faust, che è poi quel dramma del desiderio che si conclude con il trionfo sarcastico di Sorge, la Cura in persona, ospite inamovibile di ogni vicenda umana».
Sissa: «Molti anni dopo aver fatto uso per l’ultima volta di cocaina, Freud scriveva con una sorprendente serenità che il primissimo rimedio contro il disagio della civiltà \ è l’uso di Sorgenbrecher. È così che egli chiama le droghe, e l’espressione è molto significativa. Freud aveva provato empiricamente l’euforia, la distensione, l’energia e il potere antalgico della cocaina. Inoltre aveva letto e meditato il Faust di Goethe, dramma del desiderio che si conclude con il trionfo sarcastico di Sorge, la Cura in persona, ospite inamovibile di ogni casa umana».
Galimberti: «Come per Aristotele, anche per Freud il piacere è il primo principio della vita psichica, nonché il movente più forte dell’azione umana, ma sia Aristotele sia Freud distinguono il piacere immediato, incurante, non negoziato dell’infanzia, dal piacere adulto che nasce dal “differimento” del godimento, spostato su oggetti compatibili con il mondo, con gli altri e soprattutto con l’autoconservazione».
Sissa: «Il piacere è il principio primo della vita psichica. È per lo psicoanalista, come per Aristotele, il movente più forte dell’azione umana. Ma per ogni bambino ghiotto, avido, impaziente di godere, crescere significa imparare a differire il godimento, spostandolo su oggetti compatibili con il mondo, con gli altri, con l’autoconservazione. \ Il piacere immediato, incurante, non negoziato dell’infanzia \».
Galimberti: «la neurofarmacologia razionalizza i comportamenti tossicomani e, a sua insaputa, contribuisce alla loro sdrammatizzazione, perché riconosce l’intenzione ragionevole del gesto medico o autoterapeutico che consiste nel modificare la sensibilità del corpo. In questo modo, come scrive lo psichiatra Edward Khantzian \».
Sissa: «La neurofarmacologia contribuisce anch’essa alla sdrammatizzazione, riconoscendo l’intenzione ragionevole del gesto medico o autoterapeutico che consiste nel modificare la sensibilità del corpo» \.
Galimberti: «Dello stesso avviso è Peter Kramer per il quale: “Il paziente anedonico, così chiamato per la sua incapacità di provar piacere, che assume il prozac e il cocainomane che assume la droga tentano entrambi di compensare la loro mancanza di capacità edoniche. La finalità del loro gesto è identica”».
Sissa: «Nel bel libro dedicato a quanto possiamo apprendere da questa meraviglia farmaceutica, Peter Kramer afferma che “il paziente anedonico sotto Prozac® e il cocainomane tentano entrambi di compensare la loro mancanza di capacità edoniche”. La finalità del loro gesto è identica».
Galimberti: «Sulla natura insaziabile del desiderio i tossicomani sono d’accordo. Lo sanno anche se non hanno letto Platone. È la droga ad averglielo insegnato. E a proprie spese hanno imparato che “ci si droga per essere assuefatti” come scrive William Burroughs, e che darsi alla droga è un full time job, un “lavoro a tempo pieno” come dice Mark Renton in Trainspotting. Ma siccome il tempo è la nostra vita, e la nostra vita siamo noi, la tossicomania come rimedio al dolore invoca per sé un altro rimedio».
Sissa: «Sulla natura insaziabile del loro appetito, i tossicomani sono d’accordo. Lo sanno perché è la droga ad averglielo insegnato: la voglia dello stato che questo oggetto provoca non ha mai fine. Ci si droga per essere assuefatti, scrive William Burroughs. Darsi all’eroina è un “full time job”, un lavoro a tempo pieno, afferma Mark Renton in Trainspotting. \ un bisogno che monopolizza il nostro tempo non è buono, perché il nostro tempo è la nostra vita, la nostra vita siamo noi».
Galimberti: «E questo va raccomandato soprattutto alle campagne pubblicitarie che, con le loro minacce e le loro raccomandazioni tautologiche del tipo “just say no (di’ di no e basta)”, mancano di efficacia perché trascurando la natura del desiderio e la qualità del piacere, dicono cose in cui sono del tutto trascurati gli incanti della vita».
Sissa: «Ecco perché, con le loro minacce \ o i loro consigli tautologici - just say no, “di’ di no e basta” - le campagne pubblicitarie, che vorrebbero essere dissuasive, mancano di efficacia. Si dimenticano troppo spesso gli incanti della vita».
A rassicurare il lettore incredulo, giova ripetere che L’ospite inquietante di Galimberti non contiene nessun cenno alla fonte dei passi citati. E al lettore caritatevole che sospettasse un incidente - evaporazione di virgolette, oblio di note da una versione all’altra, sabotaggio di un correttore di bozze - vale la pena dire che il Filosofo copia in extenso e verbatim, ma interpola qua e là qualche vezzosa, o viziosa, variatio.
La cosa che più sorprende da questa comparazione non è tanto il ricorso sistematico a quell’eutanasia dell’intelligenza che è il prestito non dichiarato, quanto il meccanismo con cui funziona un particolare tipo di promozione del lavoro filosofico, che in Italia non è legata alla sua pubblicazione e ricezione su riviste monitorate da peers che fanno le pulci ai manoscritti mandati in visione e selezionano solo quelli capaci di proporre modi di vedere originali e innovativi.

La produzione filosofica italiana prescinde quasi del tutto da criteri obiettivi di valutazione e la pubblicazione e promozione dei testi si fonda su quei piccoli circuiti di sodali politico-accademico-culturali inclini a premiare quella particolare forma di lealtà corporativa (o morte intellettuale) che consiste nel dichiararsi con la propria scrittura fedeli prosecutori del magistero di un benevolente magister.

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