Una gara dove vince sempre il più debole

Tra veti incrociati e alchimie di aula, il nuovo inquilino del Colle non sarà frutto di convergenze, ma di ostilità reciproche

Mario Sechi

da Roma

È un gioco di destini incrociati quello che in queste ore si sta svolgendo a Montecitorio. L’elezione del Presidente della Repubblica ha un effetto domino sulla sorte politica di tutti gli attori in campo. Ognuno gioca la sua partita con la speranza di poterne trarre vantaggio. E come in tutti i giochi, alla fine del giro di carte, ci saranno i vincenti e i perdenti, chi ha fatto suo l’intero piatto, chi ha limitato i danni, chi ci ha rimesso l’intero patrimonio e deve tornare a casa ad affrontare la moglie, ignara di tanta sventatezza.
Lo schema a prima vista sembra di facile lettura: scheda bianca contro Gianni Letta, Berlusconi contro Prodi, D’Alema contro tutti, Napolitano incassa la vincita. E invece no, la lettura minimalista non fa luce su uno scenario fatto più di ombre che di figure nette, di stiletti nascosti sotto il mantello, di alleanze e rivalità.
Silvio Berlusconi guarda il voto dal banco dell’opposizione, ma non sarà lui a consegnare il Quirinale a un post-comunista: «Ci aspettavamo un nome più vicino a noi... ora votiamo Letta e poi vediamo...». È in quel «poi vediamo» che si cela il secondo tempo della partita del Cavaliere, un leader che deve affrontare il giro di boa amministrative-referendum per saggiare il suo consenso dopo la sconfitta di misura nelle elezioni politiche. Paradossalmente, in vista di una campagna così dura, dovrebbe quasi augurarsi un rientro in pista, a sorpresa, del «candidato di sfondamento»: Massimo D’Alema. Con lui sul Colle ci sarebbe una doppia opportunità: quella di provare a dialogare con «il vero capo dell’opposizione» e quella di riprendere in mano la campagna politica con il leit motiv della «cacciata dei comunisti dal Palazzo d’Inverno». Scenario che con Napolitano è più sfumato: il volto istituzionale della Quercia ha un passato da comunista a 24 carati, ma non è mai stato un vero «capo» e la sua incisività sul sistema politico (e su Romano Prodi) non sarebbe mai paragonabile a quella di D’Alema che per ora è fermo ai box, ma segue come un’ombra la corsa (con il motore acceso).
Per il futuro del centrodestra l’appuntamento chiave resta quello del referendum sulla riforma federalista, il vero obiettivo della Lega che, di fronte a una sconfitta, avrebbe davanti a sé due strade: uscire dalla Casa delle libertà per tornare nelle highlands dell’opposizione celodurista, oppure tentare il dialogo sulla riforma costituzionale con la maggioranza di centrosinistra e l’inquilino del Colle. Con Ciampi il rapporto del Carroccio era conflittuale e per questo Umberto Bossi si augura che al Quirinale vada un politico. Meglio se non di sinistra perché per il Senatùr «D’Alema e Napolitano sono uguali», anche se fu proprio D’Alema a parlare della Lega come «costola della sinistra». Ma la Lega non voterà mai per nessuno che abbia calcato la scena di Botteghe Oscure e l’esito del vertice di ieri sera conferma questa linea.
Nei giorni scorsi D’Alema al Financial Times aveva confessato: «È difficile per me essere accettato». Verità dal sen fuggita. Il leader della Quercia è temuto, in perfetto equilibrio bipartisan, dalla nouvelle vague della destra e della sinistra. Dagli avversari e dai (presunti) alleati di partito e coalizione. Walter Veltroni e Francesco Rutelli non dormirebbero sonni tranquilli con D’Alema al Quirinale. Il fuoco di sbarramento del Colle sugli aspiranti leader del futuro Partito democratico sarebbe micidiale. E per questo il Corriere della Sera - principale sponsor del progetto di liquidazione dei post-comunisti - in questi giorni ha messo in campo l’artiglieria pesante contro D’Alema. Paradossalmente, al gruppo di potere che guarda al Partito democratico come primo atto della fine dell’anomalia comunista, va più che bene l’ascesa al Colle dell’ex comunista Napolitano.
Sulla linea della generazione dei cinquantenni, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini hanno un problema speculare: D’Alema in cima al Colle non garantisce il passaggio alla Terza Repubblica perché il leader della Quercia è cresciuto nella Prima e maturato nella Seconda. Lo scioglimento dei Poli - e il passaggio nel centrodestra dall’era Berlusconi a quella Fini-Casini - subirebbe un rallentamento. Napolitano è il nome giusto per la transizione? No, il profilo migliore era quello di Giuliano Amato, primo posto nella rosa dei quattro presentata dalla Cdl. Fini ne ha sperimentato la duttilità durante i lavori della Convenzione europea e Casini non lo considera (giustamente) un apparatchik della Quercia. Ma il Dottor Sottile è già fuori gioco e per questo Napolitano resta la figura più utile per sbarrare la strada a D’Alema. An e Udc appoggiano il candidato nobile della Quercia, ma non al punto di mettere a rischio l’esistenza stessa della Cdl.
Gli esiti della votazione di un presidente della Repubblica sono sempre incerti, «passata ’a nuttata» tutto può cambiare. D’Alema ieri s’azzardava a dire che «Napolitano è entrato cardinale e credo che uscirà Papa» e non si sa quanta pre-tattica e quanta verità vi fosse in quelle parole.

Oggi potrebbe realizzarsi il copione classico della nostra storia politica, l’elezione di un Presidente della Repubblica figlio di una somma di debolezze; oppure la sceneggiatura cambierà come in un film di Tarantino e a Montecitorio vedremo il lampo delle spade.

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