Gasparri: «Chiudiamo le scuole islamiche educano al fanatismo»

Il vicepresidente del Copaco: «Un conto è la libertà di culto, un altro allevare terroristi». E Pera attacca: «Siamo migliori di chi dichiara la jihad contro di noi»

Omar Sherif H. Rida

da Roma

Chiudere le scuole coraniche, uno strumento della propaganda fondamentalista islamica. L’appello arriva direttamente dal vicepresidente del Copaco, Maurizio Gasparri, che ieri, durante la Festa Tricolore provinciale di Sant’Agata dei Goti, ha ribadito l’esigenza di «smantellare queste scuole: un conto è la libertà di culto, un conto sono questi i luoghi di allevamento di futuri possibili terroristi». «Ne parlo preoccupato - ha spiegato il deputato di An - perché come vicepresidente del Comitato parlamentare di controllo sui servizi ho ragione di farlo», aggiungendo che «la situazione reale potrebbe essere peggiore di come appare a coloro che parlano di provvedimenti liberticidi commentando l’espulsione dell’imam di Torino». Gasparri ha poi spronato An «a fare la sua parte sulla propaganda fondamentalista islamica senza sentirsi ossessionata dal politicamente corretto».
Una sortita, quella dell’ex ministro delle Comunicazioni, che arriva all’indomani della decisione, da parte dei responsabili della madrassa milanese di via Quaranta, di sospendere l’inizio delle lezioni previsto per domani, giorno in cui si terrà un vertice in Prefettura per discutere della vicenda con il prefetto di Milano, Bruno Ferrante, il direttore scolastico regionale, Mario Dutto, e i rappresentanti della scuola coranica.
Rimane scottante quindi la questione delle madrasse «abusive» dopo la decisione congiunta dei ministri dell’Interno, Giuseppe Pisanu, e dell’Istruzione, Letizia Moratti, di creare un tavolo tecnico per monitorare questo genere d’istituti e individuare quelli privi di riconoscimento legale. Sullo sfondo, continua il dibattito su come conciliare integrazione scolastica e rispetto dei costumi religiosi islamici, cui ieri si è iscritto anche il vicepremier, Gianfranco Fini: «È giusto - ha dichiarato il leader di An - che un bambino musulmano non veda annullata la propria identità, ma è doveroso che impari l’italiano, le nostre regole e le nostre leggi. L’idea di scuole al di fuori del nostro circuito valoriale è pericolosa e può essere l’anticamera dell’isolamento».
Un parere, quello di Fini, arrivato a sostegno del nuovo intervento del presidente del Senato, Marcello Pera, sulle questioni del «meticciato» e delle identità: «Ma davvero - questo l’interrogativo posto dall’inquilino di Palazzo Madama al seminario di Fi di Gubbio - offendiamo gli altri se diciamo come siamo fatti e perché siamo fieri di essere fatti così? Certo non siamo perfetti, ma siamo migliori di chi ci dichiara la guerra santa, non riconosce la parità uomo-donna, non considera lo stato laico una conquista, non distingue la religione dalla politica, non ama la democrazia: bisogna dirlo, e non avere paura». E alla successiva standing ovation della platea, Pera ha scherzosamente ripreso i presenti: «Razzisti che non siete altro... smettetela!».
Il presidente del Senato, ricordando come «la destra italiana non si stia arrendendo al fondamentalismo», è poi tornato sul discusso concetto di «meticcio»: «Noi discendiamo da tre colline: il Sinai, il Golgota, l’Acropoli e ci siamo formati in tre capitali: Atene, Gerusalemme e Roma. Poi ci siamo mescolati, con violenza o pacificamente, con tanta gente. Il risultato è che siamo meticci, per razza e per cultura. La domanda è se a questo nostro meticciato dobbiamo far corrispondere anche una “non identità” meticcia, cioè indistinta, generica? Oppure possiamo e dobbiamo attribuircene una ben definita?».
Qui risiede, secondo Pera, il grande paradosso: «Per integrare bisogna includere gli altri nella nostra cultura, la stessa che noi ci rifiutiamo di riconoscere e apprezzare!». Un’integrazione che però non fa rima con «tolleranza»: «Si tollerano gli sciocchi, i molesti, gli inferiori. Agli uguali si dedica un’altra virtù ben più importante: il rispetto».

«Se davvero ci ispirassimo alla tolleranza - conclude Pera proprio riferendosi alle scuole coraniche - perché non tollerare i predicatori d’odio, le classi separate, le madrasse in cui si semina risentimento? Queste cose non solo non le tolleriamo, ma talvolta le consideriamo addirittura reati».

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