Genchi: "I 9 milioni di De Magistris? Dovevano essere di più"

’O spione, interceptor, il pic­colo uomo dal grande orecchio, zerozerogenchi. Oppure Licio Genchi (copyright Mastella). Le troppe vittime innocenti di Why Not chiamano così,per l’appun­to, l’ex funzionario di polizia Gio­acchino Genchi, già consulente informatico dell’ex pubblico mi­nistero Luigi De Magistris nella nota inchiesta flop di Catanzaro pensata per estirpare una Spectre tricolore politicomasso­nica intorno alla quale sarebbe­ro ruotate, a vario titolo, ben 150 persone, tutte indagate e tutte prosciolte (tranne otto). A Gen­chi vien da pensare quando ci si rifà alle conclusioni del gup di Ca­tanzaro che nel disintegrare l’operato della toga diventata parlamentare europeo, cristalliz­za in 9 milioni di soldi pubblici il costo per le sole consulenze. E la consulenza principe, quella che ha mosso tutti gli approfondi­menti di De Magistris, porta la sua firma.
Signor Genchi, è diventato ricco lei.
«Ricco, è perché?».
Nove milioni di euro per le consulenze di Why Not...
«Io non ho percepito nemme­no un euro».
Scusi?
«Niente. Nove milioni saran­no costate per le consulenze con­tabili».
Sta dicendo che ha lavorato gratis?
«Certo che no. Ma quando hanno avocato l’inchiesta si è in­­terrotto anche il mio rapporto con la procura di Catanzaro. Mi rifarò con le richieste di risarci­mento danni in sede penale nei confronti di tutti coloro che mi hanno arrecato danni gravi. Non ho potuto presentare richiesta di liquidazione perché non posso battere cassa a chi ho denuncia­to per avermi tolto il lavoro a quel modo».
Nove milioni solo per consu­lenze «minori», Genchi escluso. Non immaginiamo quanto sarebbe costata la sua parcella, quanti altri mi­lioni per Why Not...
«Il giusto. Quello che solita­mente pagano le altre procure per il mio lavoro».
Senta Genchi, il gup di Catan­za­ro ha distrutto la vostra in­chiesta dall’inizio alla fine. Ha parlato di ricerca della verità sacrificata alla voglia di apparire dei protagonisti delle indagini...
«Per quanto mi riguarda non ho mai cercato la ribalta mediati­ca. Sulle conclusioni del gip vo­glio invece dire che senza i tabu­lati telefonici e senza le intercet­tazioni che non sono state am­messe era naturale che finisse co­sì».
Non avete esagerato con le intercettazioni a strascico anche, e soprattutto, a cari­co dei parlamentari?
«Abbiamo sviluppato i nume­ri senza sapere chi ci fosse dietro. E quando son spuntati parla­mentari l’ho fatto presente al pm che si è regolato di conseguenza».
Sia onesto, Why Not non è perfetta come la descrive lei.
«Certo, ci sono alcune cose sul­le quali ho dissentito anche io, ti­po l’iscrizione sul registro degli indagati di Prodi e Mastella, le mie riserve sull’ex governatore Chiaravalloti e altro».
A querele come sta messo?
«Qualcuna, per il libro che ho scritto. Per il resto, questa offensi­va nei miei confronti, mi ha azze­rato i profitti che erano noti a tut­ti».
Lei è stato sospeso dalla poli­zia.
«Sì, dal marzo scorso. Ma è tut­to ancora per aria».
Il maresciallo della finanza che passava notizie a «Pano­rama » arrestato, lei no. Il ca­po d’imputazione è lo stes­so.


«I miei accessi non erano abu­sivi ma autorizzati dall’autorità giudiziaria. Semplice».
Il Ros e i pm romani che l’hanno perquisita seque­strando il suo archivio non la pensano così...
«È come dico io, lo dimostre­rò ».

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