È stata una lettera di tre righe a dare un’altra forte scossa alle Generali: è quella con cui ieri Leonardo Del Vecchio si è dimesso dal cda della società assicurativa. Indirizzata al presidente Cesare Geronzi, vi si legge: «Sono convinto che il mio contributo non possa incidere sull’indirizzo strategico di questa grande compagnia ». Seguono le dimissioni. Ma cosa ha indotto Del Vecchio - fondatore di un impero industriale multinazionale, 76 anni, che non concede interviste da cinque mentre da sette ha lasciato ogni delega operativa in Luxottica per fare solo il presidente e godersi la famiglia, la casa e la barca a Montecarlo- a fare un gesto così irrituale? Una sua mossa assume un peso enorme, soprattutto ora che le acque nel consiglio delle Generali sono già state agitate dalle iniziative di Diego Della Valle, imprenditore e consigliere indipendente di Generali, proprio come Del Vecchio. Il signor Tod’s ha accusato Geronzi di voler influenzare le scelte delle società attraverso manovre effettuate fuori dai cda. Una posizione assunta su Rcs (società editrice del Corriere ), ma estesa anche alle Generali, dove Geronzi è presidente senza deleghe operative. E dove Della Valle ha chiesto di cedere proprio la quota del 3,9% in Rcs. Per questo la decisione di Del Vecchio è benzina sul fuoco acceso da Della Valle. Ed è un secondo imprenditore (5,8 miliardi di ricavi in 130 Paesi, con 400 milioni di utile), che oppone le ragioni del «fare» al «capitalismo di relazione ». Anche se non c’è solo questo. Dietro alle poche righe scritte da Del Vecchio al presidente si cela una più generale insoddisfazione per l’andamento della compagnia da un lato, per l’inopportuna visibilità mediatica dall’altro. Un uomo del fare, in altri termini, per le Generali preferirebbe lavoro, risultati, e poco altro. Anche per far rendere il suo 1,9% del capitale che, ai prezzi attuali, corrisponde a una minusvalenza di oltre 300 milioni. Una posizione in parte condivisa anche da altri grandi soci insoddisfatti e che non necessariamente ce l’hanno con Geronzi. Come Francesco Gaetano Caltagirone che infatti ha ieri detto: «Mi dispiace molto: ho avuto modo di apprezzare il Cavaliere Del Vecchio, che ha sempre una visione industriale dei problemi nell’interesse dell’azienda». Detto questo, di certo a Del Vecchio non è piaciuta l’intervista che Geronzi ha rilasciato al Financial Times , qualche giorno fa, nella quale delineava strategie d’investimento ( nelle banche, nelle infrastrutture), che il management (guidato dal ceo Giovanni Perissinotto) non aveva affatto comunicato. Anzi, nell’investor day si era detto il contrario. Del Vecchio non ha gradito che il presidente prendesse tali iniziative di fronte al mercato. D’altra parte già il 29 aprile scorso, quando Geronzi era appena sbarcato a Trieste, Del Vecchio aveva espresso il suo pensiero in proposito: «Che il presidente sia Bernheim o un altro non cambia nulla. Cambierebbe qualcosa se il presidente fosse operativo, se avesse delega; ma, visto che il presidente adesso non ha alcuna delega, praticamente è una figura come la mia in Luxottica». Con l’intervista a Ft , invece, Geronzi è andato oltre. E a poco è servita la precisazione successiva, nella quale il banchiere ha chiarito a quali condizioni potessero essere fatti gli investimenti che intendeva. Forse a Geronzi sarebbe sembrato più diretto un confronto in cda (domani, per esempio).
Anche perché, come hanno riferito ieri fonti vicine al presidente, «mai, si ripete mai, vi è stata occasione di contrasto nel cda e nei confronti del presidente della compagnia, a cominciare dagli indirizzi strategici».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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