Generazione Y, ecco i figli del disincanto

Le lettere dell'alfabeto stanno per finire: per dare un'identità ai giovani del ventunesimo secolo siamo arrivati alla Generazione Y, ovvero i «Technosexual», come li definisce un marchio con tanto di copyright registrato da Calvin Klein, su cui hanno discusso ieri all'Università Iulm di Milano sociologi come Alberto Abruzzese e Mauro Ferraresi. Questo nuovo trend vede i giovani tra i 18 e i 25 anni aggrappati alla rete, intesa come internet - ma anche come cellulare, ipod e altra tecnologia che li faccia sentire «connessi» - e sexy, ovvero fisicamente audaci, veloci e curiosi.
Pare però che questo continuo afflusso di informazioni produca una pressione psicologica che «sfarina» la loro identità e impedisce un vero «contatto» con gli altri. I rapporti umani si trasformano in una mescolanza di reale e virtuale. Non c'è da stupirsi perciò che i fenomeni del momento siano YouTube, Second Life e i giochi di ruolo come Warcraft, che incatenano milioni di ragazzi. Addio partecipazione sociale, dunque, e benvenuto isolamento in una seconda vita virtuale? A rispondere è un'indagine, Euyoupart (political participation of young people in Europe), sulla partecipazione politica giovanile, avviata da un consorzio internazionale di nove istituti di ricerca europei, i cui risultati, commentati da Fondazione Iard e dal Centro interuniversitario di sociologia politica dell'Università degli studi di Firenze, saranno in libreria a giorni con il titolo I figli del disincanto (Bruno Mondadori, pagg. 208, euro 20), a cura di Marco Bontempi e Renato Pocaterra.
La ricerca è stata effettuata su un campione di 8000 giovani dai 15 ai 25 anni appartenenti ad Austria, Estonia, Finlandia, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Slovacchia e ha dato vita a un'analisi comparata delle differenti tendenze giovanili sia nella «vecchia Europa» che nei paesi da poco entrati nell'unione. «I giovani - ci spiega uno dei due curatori del volume, il professor Bontempi - oggi si considerano appartenenti a destra e sinistra non più in base a giudizi di valore su questioni distributive, cioè economiche o sociali, come i loro padri, ma su questioni etiche, come ad esempio la pena di morte o le biotecnologie». Dunque una base partecipativa c'è. Ma allora da dove viene il disincanto? «I disincantati sono i genitori.

I ragazzi subiscono la fascinazione di un mondo distaccato che già esiste. La buona notizia è che anche chi non vota o è fortemente critico verso il valore della politica, ne discute. Una nuova forma di partecipazione sociale, che si potrebbe chiamare antipolitica».

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