A Genova i negozi chiudono, i cinesi no

A Genova i negozi chiudono, i cinesi no
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Negli ultimi tempi si fa un gran parlare dei prodotti cinesi che stanno invadendo i mercati occidentali. I cinesi, infatti, più o meno buoni, imitatori delle nostre linee, che riescono a produrre a bassi costi ed in assenza delle più elementari regole e tutele sociali, mettono in ginocchio l’economia di intere nazioni, ivi compresa l’Italia È di questi giorni, non a caso, l’imitazione addirittura delle famosissime ceramiche umbre De Ruta proprio da parte dei cinesi. Nell’attesa, intanto, che i governi nazionali ed il parlamento Europeo, con tutte le loro divisioni e lentezze burocratiche si decidano al più presto a varare misure preventive per contrastare l’invasione asiatica, invito cortesemente tutti i cittadini a non acquistare prodotti cinesi di alcun tipo, la cui qualità, tra l’altro, è mille volte inferiore alla nostra.
Se poi, infine, si vogliono togliere anche qualche soddisfazione culinaria suggerisco loro di non recarsi nei ristoranti cinesi in quanto, di ristoranti, abbiamo quelli di casa nostra con i loro cibi squisiti e genuini . Faccio, inoltre, presente che, soltanto lo scorso anno, nella sola Genova, sono state diverse decine le attività commerciali che hanno chiuso i battenti e concludo dicendo che anche noi nel nostro piccolo, possiamo e dobbiamo fare qualcosa prima che sia troppo tardi.
Alternativa sociale

Genova
Non sono un’esperta in economia ma usando il buonsenso rilevo l’incongruenza dell’informazione che ci viene data dai media a proposito del deficit italiano e della nostra scarsa competitività internazionale. Da decenni, l’Italia è afflitta dal fenomeno di quell’economia selvaggia, fuori da ogni regola e da ogni legge, che è la produzione di oggetti definiti «taroccati», cioè imitazioni più o meno valide di prodotti griffati, alcune tanto perfette (vedi borse di Louis Vuitton) da non essere individuate dagli esperti del settore.
Da circa un lustro a questa produzione se ne è aggiunta un’altra, prevalentemente cinese, di beni di consumo prodotti in Cina ma anche in Italia a prezzi che sono assolutamente imbattibili. La stessa giacca sportiva (cambia la fantasia della fodera) mi è costata 3 (tre) euro sul regolare banchetto di un mercatino rionale, mentre costa 179 euro in liquidazione in una boutique del centro.
Quale possibilità di competere vi è per il commercio italiano?! È da rilevare che spesso le ditte cinesi che operano in Italia non rispettano orari di lavoro (disumani), salario minimo sindacale ecc.
Ormai anche i prodotti regolarmente (!) importati dalla Cina hanno prezzi tali da non poter essere retti dai produttori italiani: un waistband amplifier (amplificatore di voce), in uno dei migliori negozi di elettronica di Genova, costa 57 euro (ora ribassato a 47 euro): poi guardi l’etichetta e leggi made in China.

Ritornando al discorso delle merci illegalmente prodotte in Italia o importate, non è che queste vendite avvengano in bui scantinati o magazzini clandestini , bensì alla luce del sole, nelle nostre strade e nelle nostre piazze, a volte sul marciapiede davanti ai negozi cui viene fatta concorrenza o a fianco degli ambulanti autorizzati e che pagano le varie tasse. Al cittadino vessato dall’euro queste opportunità possono anche far comodo: non ci si stracci le vesti però se l’economia italiana va a catafascio, nell’inerzia di controlli delle autorità preposte!

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