«Se tu mi sentissi parlare, dubiteresti delle mie parole, non crederesti mai che io, sino al diciottesimo anno, sia stato tormentato da uno dei più gravi difetti di pronuncia. La mia balbuzie era spaventosa. Eppure eccomi qua, con una parola facile, sicura, disinvolta, con una rapidità tale nel parlare che pochi possono seguirmi, non solo nelle parole, ma anche nel pensiero. Tutti coloro che mi sentono non vogliono credere che io sia stato balbuziente, pensano invece che abbia studiato oratoria, esercitandomi per molti anni». Così scrive nella presentazione della sua storia Vincenzo Mastrangeli, inventore del metodo che porta il suo nome e che ha curato nel corso degli anni ottantamila persone da uno dei disturbi più antipatici per chi ne soffre: la balbuzie.
E ieri pomeriggio a Rapallo cerano in tanti a dare lultimo saluto al professor Mastrangeli, scomparso alletà di 91 anni, dopo una vita trascorsa a divulgare il suo metodo riconosciuto fin dal 1949 dal Ministero dellIstruzione come parte integrante delleducazione dei fanciulli con balbuzie. Fulcro dellattività del professore fu Villa Benia, a Rapallo, dove ancora oggi la sua mission viene portata avanti dalla figlia Cristina grazie a corsi full immersion che prevedono musicoterapia e momenti di svago alternati a momenti di insegnamento, in unatmosfera squisitamente familiare. «Tre - spiega la figlia Cristina - sono i cardini del metodo Mastrangeli: agire sulla totalità della persona e non solo sul sintomo, da cui il nome di terapia psicofonica. Mettere a punto unapposita tecnica fonatoria classificata come musicoterapia vocale per facilitare e poter sperimentare in modo reale e concreto la percezione della fluenza e il superamento dei blocchi. Attivare la terapia di gruppo come momento catartico e di stimolazione reciproca allo sblocco verbale e personale».
Moltissimi gli allievi di Mastrangeli nel corso degli anni e infinite le testimonianze di stima arrivate al professore e alla sua equipe. Daltronde chi meglio di un balbuziente avrebbe potuto capire le difficoltà di un balbuziente? Così nella sua autobiografia Vincenzo Mastrangeli racconta di aver sofferto di disturbi della parola fino ai 18 anni. «Dopo la maturità classica nel 1938, strappata con i denti perché forte negli scritti, anche se negli orali perdevo dei colpi, mi ritrovai di fronte ad un bivio: iscrivermi alluniversità e continuare a subire le umiliazioni oppure rinunciare ai miei sogni e alle mie aspirazioni? - scrive il professore - Non mi iscrissi alluniversità, mi ritirai invece in una piccola casa di campagna a meditare, a parlare ad alta voce, a declamare. La mia balbuzie negli ultimi anni si era fortemente aggravata. Nei due anni che vissi quasi isolato, lessi innumerevoli pagine di classici parlando ad alta voce. Dopo alcuni mesi di questi esercizi cominciai a parlare bene con i familiari, con gli amici e poi piano piano con tutti. Perché declamando e parlando ad alta voce non visto da nessuno non balbettavo? Perché nessuno con la presenza poteva intimidirmi, perché declamando sfioravo il canto. È infatti risaputo che nessun balbuziente, per quanto grave sia il suo disturbo, balbetta quando è solo o quando canta». Da qui lidea di usare la musicalità per aiutare il balbuziente ad acquisire il senso del ritmo e a trasporlo nel discorso. I risultati furono sorprendenti, come ricorda il professore nei suoi scritti. «Appena laureato in filosofia fui sollecitato, quasi costretto, dalle famiglie con bambini balbuzienti a ridare loro il dono divino della parola che qualche anno prima avevo ridato a me stesso. Le prime esperienze, iniziate alla fine di settembre del '46, furono molto positive quasi miracolose tanto che nella prima quindicina del dicembre, sempre dello stesso anno, uscirono due grandi servizi giornalistici su Il Corriere della Sera e su Il momento di Roma. Mi definivano il taumaturgo della parola».
Il suo metodo ha valicato i confini italiani ed è noto in tutto il mondo.
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