E il computer «bacchettone» intralcia il processo

Una sentenza attesa a lungo, quella ottenuta dall'avvocato Andrea Bava per conto dei familiari del militare morto a causa delle esposizioni all'uranio impoverito. Attesa anche troppo a lungo, perché a volte la burocrazia non conosce davvero limiti. E l'ultimo intoppo che ha fatto slittare la decisione del giudice ha davvero del grottesco. Perché nasce tutto nel cervellone, a dire il vero molto bacchettone e assai poco elastico, del computer dell'Avvocatura della Stato. Per la precisione nel server che gestisce la posta elettronica certificata, quelle super email che dovrebbero semplificare la vita e abbattere i costi delle comunicazioni ufficiali.
Uno delle ultimissime udienze del processo è stata infatti rinviata a causa dell'opposizione sollevata dall'avvocato di Stato che sosteneva la posizione del Ministero. Il legale infatti era decisamente contrariato per non aver ricevuto la copia della perizia del medico legale incaricato dal giudice. In sostanza, a suo dire, non gli era stata notificata la prova regina del processo, quell'atto sul quale il giudice ha fatto leva per dare ragione all'avvocato genovese.
Nell'imbarazzo generale dell'aula, il perito ha assicurato di aver inviato a tutti i soggetti interessati una copia del proprio elaborato e di essere pronto a mostrare le ricevute. Nella fattispecie il medico legale aveva fatto giungere alle controparti e all'ufficio del giudice la perizia tramite posta elettronica certificata, il sistema telematico che in Italia ha lo stesso valore della raccomandata. Il professionista ha infatti potuto dimostrare che non solo aveva inviato tutto correttamente, ma sulla propria casella di posta aveva avuto la conferma della ricezione del messaggio da parte dell'avvocatura dello Stato.
Come era possibile dunque che la perizia fosse andata persa? L'arcano è stato risolto quando da una verifica più approfondita è emerso che la mail era stata scartata dal server e messa nella «posta indesiderata». Il motivo era banale quanto a dir poco incredibile. Il testo conteneva, ovviamente, anche il nome del perito medico, che si chiama Vincenzo Troia.

Ma il cervellone ministeriale non ha creduto che fosse un nome e lo ha classificato tra le parole oscene da scartare. C'è voluta così una nuova udienza e magari un pizzico di imbarazzo dell'avvocato dello Stato nei confronti dello stimato professionista, per portare a termine il processo.

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