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I congiurati e i tradimenti che cambiarono la storia

I congiurati e i tradimenti  che cambiarono la storia

di Pier Guido Quartero

L’episodio successivo sopravviene questa volta dopo solo vent’anni. Nel maggio 1648, infatti, viene scoperta un’altra trama, che sta sviluppandosi da più di un anno. Gian Paolo Balbi, di famiglia patrizia, ha tentato di organizzare un colpo di mano in favore dei francesi. In collaborazione con altri, tra i quali un Giambattista Questa ed il di lui fratello, Stefano, aveva predisposto uno stratagemma che avrebbe consentito a truppe, sbarcate di notte sotto le mura di Sarzano, di entrare in città senza colpo ferire. Infatti, aveva acquistato una casa la quale possedeva un ingresso dal lato mare, che sarebbe stata un ottimo e sicuro passaggio per gli invasori.
Stefano Questa, che era capitano dell’esercito francese e si trovava in Toscana in quanto bandito dalla Repubblica, prese contatti con il Cardinale Mazzarino per fargli conoscere la nuova possibilità che gli veniva offerta. Mazzarino tentennava. Di primo acchito rifiutò la proposta, poi, dopo una apposita visita dei fratelli Questa a Parigi, sembrò tentato dall’idea. In cambio, il Balbi gli chiese di essere nominato Arciduca di Genova e di avere il governo della Liguria e della Corsica. Forse per l’esosità della richiesta, ma anche più probabilmente perché nel frattempo erano in corso trattative per la pace con gli spagnoli, di cui Genova era alleata, alla fine il Cardinale si risolse per il no. Gian Paolo Balbi, nel frattempo, era stato esiliato per i suoi comportamenti contrari alla sicurezza dello stato e si era rifugiato a Milano.
Stefano Questa, trovandosi con in mano un pugno di mosche, pensò bene di rifarsi vendendo l’intero dossier al governo della Repubblica e traendo da questo affare un discreto guadagno oltre all’impunità. Il Balbi, a questo punto, dovette fuggire da Milano, che, essendo sotto il controllo spagnolo, non era più sicura per lui. Rifugiatosi prima in Francia, dove cercò inutilmente di convincere Mazzarino, e dopo avere tentato addirittura, con un cambio di campo sorprendente ma ancora senza successo, di offrirsi alla Spagna, finì per rifugiarsi a Venezia, mentre a Genova veniva pronunciata la sua condanna a morte in contumacia, con tanto di taglia sulla sua testa.
A conferma di una notevole pervicacia, riuscì inoltre, nel 1650, a coinvolgere in nuove trame ai danni della Repubblica un altro importante membro dell’aristocrazia cittadina: Stefano Raggio, uomo di indole focosa, il quale, essendo suo figlio stato bandito per aver commesso reati, fu preso da un odio feroce nei confronti del Doge, Giacomo De Franchi. Il suo carattere intemperante lo indusse peraltro a sfogare la propria rabbia in troppe confidenze. Ne conseguì alla fine, su denuncia di Ottaviano Sauli, l’arresto, avvenuto nottetempo, senza troppa pubblicità. Seguì l’ascolto di testimoni e la produzione di una lettera del Balbi, che avrebbe costituito la prova del tradimento. Tenendo fede fino all’ultimo al proprio carattere impetuoso, piuttosto che subire l’umiliazione della condanna e della decapitazione, Raggio si uccise ferendosi mortalmente con un coltello che teneva nascosto nelle pieghe dell’abito, pur continuando a protestarsi innocente fino alla fine. La morte per le ferite che si era inferte sopravvenne il 23 luglio di quell’anno.
Per quanto riguarda il Balbi, sembra che abbia finito per morire ad Amsterdam, più o meno nel 1675. A sua infame memoria la Repubblica gli dedicò una lapide murata nel palazzo Ducale.
È del 1672 l’ultimo significativo tentativo di rovesciamento del potere a Genova. Ne è protagonista Raffaele Della Torre, figlio di un intellettuale e politico genovese, cresciuto come paggio alla corte fiorentina e poi tornato in patria verso i vent’anni. Per alcuni anni visse una vita dispendiosa, fino a ridursi in miseria, dopodiché tentò di far soldi tentando rapine, nel corso di una delle quali giunse ad uccidere un uomo. La potenza della sua famiglia, comunque, gli consentì di cavarsela senza danni. Tuttavia, nel 1671 finì per esagerare, assaltando a capo di una banda armata una feluca che trasportava oro da Genova a Livorno. Immediatamente sospettato, fuggì in Francia a precipizio, ricoverandosi a Marsiglia, abbandonando soci e bottino.
Ciò non impedì che venisse giudicato in contumacia e condannato a morte per impiccagione.
L’anno successivo, avendo pronunciato minacce di vendetta verso la Repubblica che giunsero alle orecchie di Carlo Simiane, Marchese di Livorno, questi, che aveva con lui un’antica amicizia, lo invitò a recarsi a Torino, dove lo presentò al Duca Carlo Emanuele II, il quale gli conferì il grado di capitano dei corazzieri di un proprio reggimento. Tra il febbraio ed il giugno del ’72 seguirono contatti tra il Della Torre e la corte sabauda per perfezionare un piano per la conquista di Genova, nei confronti della quale, nel frattempo, Carlo Emanuele era entrato in guerra. Il progetto, nella sua versione conclusiva, prevedeva che le truppe piemontesi investissero, attraverso la Val Bormida, Vado e Savona, mentre Della Torre e gli altri congiurati con i quali si era accordato, a capo di gente assoldata nel Monferrato e nel Parmigiano, si sarebbero portati su Genova, tentando di penetrarvi di sorpresa, con l’aiuto di complici che, dall’interno, avrebbero dovuto agevolarli aprendo loro le porte della città.
La sorpresa avrebbe dovuto essere portata a compimento il 24 di giugno del ’72 ma, come nelle precedenti occasioni, uno dei congiurati, tale Angelo Maria Vico, di Mallare, rivelò al governatore di quella cittadina le intenzioni dei propri compagni. Il Senato della Repubblica, prontamente avvertito, inviò rapidamente nuove truppe a Savona, invitando il governatore di lì a rafforzare le difese nelle zone di confine ed inviò un Marco Doria a battere la valle del Bisagno e un Giambattista Gentile su quella del Polcevera.
Della Torre, avendo avuto notizia dell’evolversi della situazione, si ritirò nel Piacentino e poi a Torino, mentre i suoi complici genovesi venivano catturati e poi impiccati. Successivamente venne celebrato un processo in contumacia a suo carico, che si concluse con una seconda condanna a morte. Nella Torre Grimaldina del Palazzo Ducale venne murata, accanto a quella del Balbi, una lapide a sua vergogna.
La storia del personaggio, peraltro, non finisce qui. Accolto e protetto per qualche tempo dai Savoia, a causa del suo continuo insistere per poter avere una rivincita su Genova, divenne infine insopportabile e venne allontanato da corte. A questo punto decise di dedicarsi alla magia nera, all’astrologia e all’occultismo, e divenne seguace di un mago ungherese da cui fu truffato e derubato. Si ritirò quindi in Val d’Aosta, dove divenne noto come Conte Rosa e conobbe un fabbro inglese che gli insegnò l’uso degli esplosivi. Costruì una cassetta che esplodeva automaticamente una volta aperta e la spedì al traditore Vico che nello scoppio perse un braccio. Ritentò poi con una cassa più grossa che spedì al Senato, ma i doganieri insospettiti la esaminarono e la disinnescarono.
Tutto questo suo agitarsi non lo rese più simpatico ai Savoia: alla morte del duca, nel 1675, gli fu anticipato il vitalizio a suo tempo riconosciutogli e fu cacciato dal Piemonte. Andò in Francia, dove si offrì come spia a Luigi XIV, ma non fu accettato. Tentò ancora l’avventura militare in Alsazia e successivamente si trasferì ad Amsterdam, dove organizzava spettacoli di musica italiana e grandi banchetti con cibi esotici, ma ben presto rimase senza denaro e tornò in Francia, perdendo la moglie durante il viaggio. Infine si recò a Venezia dove, nella primavera del 1681, fu finalmente ucciso da uno sconosciuto durante il carnevale.
Con questo, arriviamo alla fine del nostro elenco. Non che con il Della Torre finiscano nel genovesato le manovre e le macchinazioni contro il potere costituito. Ciò che cambia è invece proprio il potere: con l’illuminismo, la rivoluzione francese, Napoleone e il Congresso di Vienna i tempi cambiano e la Repubblica finisce per scomparire, assorbita in qualche modo all’interno del Regno di Sardegna.

Ciò che le armi e le congiure non hanno potuto riesce alla diplomazia e la vecchia, gloriosa Repubblica, ridotta ormai ad un simulacro di se stessa, cessa di esistere. Uomini nuovi e diversi, con altri e diversi ideali, tenteranno altre rivolte e progetteranno imprese anche grandiose, contribuendo in modi diversi all’unità italiana e a quanto ne segue fino ad oggi.
(3 - fine)

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