Cronache

Quelle biglie di vetro con l'interno a spirali colorate

Caro Lussana, allora, vediamo un po' quello che riusciamo a risucchiare dai meandri della memoria e rinverdire il ricordo delle «cose perdute».
Un caro, vecchio amico di Santa Margherita (Rinaldo Caffarena, medico in pensione), al quale ho scritto del libro di Guccini, mi suggerisce alcuni flash di memoria che le trasmetto. (Ma prima, se mi è consentito, un appunto al benemerito autore. Nel citare i giochi di un tempo, ha colpevolmente dimenticato sia «Monopoli» sia «Mercante in fiera». E la «mora cinese»? E quella nostrana giocata sotto i pergolati negli anni Trenta e Quaranta, dove un non iniziato non riusciva neppure a contare i primi due punti, che i concorrenti erano già arrivati in fondo alla gara.
E poi aggiungo: le bocce sopravvivono, ma le gare di «tamburello» dove sono finite? Mi pare perfino fossero state proposte dal CONI, per farle entrare nell'Olimpo dei cinque cerchi.
Allora, lui dice: «Chissà se le due parole “alimorta” e «talulimblemblum” valgono ancora nei giochi tra bambini?». E poi, «Dare l'otto sul tramvai era raggiungere un limite».
Ed ancora:
Il leso, tappo da barca, esisterà ancora? E la guttaperca, la carta da zucchero blu, le fasce da bambini, il plexiglas, l'anellopertenerechiusolombrello (Nizza & Morbelli v. «I quattro moschettieri» o forse «Due anni dopo», con le splendide illustrazioni di Angelo Bioletto, per le Edizioni Perugina-Buitoni Copyright 1936 XV).
Pare sopravvivano le cartine Job. Ma la cera Rob, il lucido Brill, i saltrati Rodell (?) e le pillole Pink che rassodavano il seno, sono ineluttabilmente scomparsi.
Poi lui ricorda la «ghèm» collarino grigio di sua nonna. Ed ancora, le ghette (ed io aggiungerei le galoches di gomma nera e lucida); la paglietta (magiostrina), il solino (colletto rigido staccato dalla camicia) e relativo bottone (d'oro per i raffinati), le stecche di balena (per i busti da signora). Ma io non trascurerei le stecchette rigide, da inserire sotto le apposite fettucce del colletto della camicia, all'uopo d'evitare il sollevamento delle punte oltre il bavero della giacca (bon Dieu! Che descrizioni faticose!)
E le volpi (magari argentate) col gancio sul muso e gli occhi di vetro? E le palline di terracotta (magari argentate)? Per non parlare di quelle di vetro (veneziane) con all'interno spirali colorate.
Poi c'era la birilla (?) della gazzosa, il sifone del seltz e... molto altro.
E conclude: Bacigalupo scrisse in genovese «il canto della rumenta», dove c'è un torrenziale elenco di cose da buttare via, epico, filosofico e fatale.
Si potrebbe proseguire per pagine e pagine, ma... so che lei non permetterebbe. Comunque non escluderei un bis, quando da una memoria ormai malandata emergessero ricordi forse più coinvolgenti (almeno per me).


Cordialmente.

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