Cronache

«La rivincita è solo per me stesso»

Strana storia, la sua. Da capitano a grande escluso. Da esodato a titolare inamovibile. Angelo Palombo ha iniziato la sua seconda vita calcistica il giorno dell'arrivo di Delio Rossi. Ciro Ferrara è stato esonerato il giorno 17, con 17 punti in classifica, alla 17esima giornata di campionato. Vai a dire che non è stato un segno del destino. Nessuna voglia di rivincita, nessuna parola fuori posto.
Gli altri vanno, lui resta: «La rivincita è solo per me stesso – spiega il giocatore blucerchiato -. Umanamente mi dispiace per chi è andato via perché so cosa significa essere escluso». Chiusa la parentesi, Palombo si racconta, sviscera il passato: «Il momento più difficile? Staccarmi da Genova, a gennaio mi avevano chiesto il favore di andare via e ho deciso di accontentarli per rispetto verso il club. Ma per me è stata dura anche se all'Inter sono stato trattato molto bene. Ho avuto poche chance e sono arrivato in un momento travagliato per la squadra nerazzurra ma rifarei tutto, sia le scelte positive e negative, anche queste mi hanno aiutato a crescere. Vorrei precisare che in estate non ho puntato i piedi e non sono rimasto a Genova per fare un dispetto a qualcuno. Non fare mai nulla contro questa maglia, sentivo solo che sarebbe arrivato il mio momento. Ora sono felice e voglio dividere la gioia con i miei compagni che mi hanno sempre fatto sentire parte del gruppo. Ho rifiutato alcune offerte e molti soldi, la proposta della Russia era importate, ma io volevo riuscire qua. A fine estate ho deciso di spalmarmi l'ingaggio per dare un segnale. Mi sono rimesso in discussione pur sapendo che, nonostante il cambio del contratto, sarei rimasto il nono centrocampista. È chiaro che in qualche momento ho vacillato sull'ipotesi di andare via ma non ho mai fatto polemiche per rispetto a Riccardo Garrone e a Edoardo che con me è sempre stato molto corretto».
Prima la B: «L'anno della retrocessione ho sofferto più del dovuto a livello mentale, continuavo a pensare e più pensavo più sul campo non ero lucido. Quell'estate era arrivata l'offerta della Fiorentina e se fossi stata la proprietà anche io avrei preso in considerazione l'ipotesi di vendere il giocatore ma in quel momento avrei detto no anche al Real Madrid, mi sembrava di abbandonare la mia nave nel momento del bisogno. Poi c'è stato l'anno di B e io stesso mi chiedevo come era possibile che non riuscissi più a rendere come prima, più stavo male e più non giocavo bene. Per un periodo ho anche perso la stima verso me stesso. In quei momenti tutto sembra nero e non so nemmeno io dove ho trovato la forza per uscirne. Certamente anche io ho colpe e fatto errori ma in buona fede».
Poi la breve parentesi Ferrara («Ha detto che mi conosceva bene avendomi allenato in Nazionale ma forse non mi conosceva abbastanza») e l'arrivo di Rossi: «Avevo paura che anche lui mi dicesse che non rientravo nel progetto ma poi ho capito che era una persona leale e mi sono liberato di un peso. Lo ringrazio, se ha bisogno gioco in difesa ma non avrei problemi a tornare in mezzo. Mentalmente mi sento ancora un centrocampista anche se giocare dietro all'inizio mi ha aiutato molto e, devo dire la verità, che le prima due partite ho anche faticato un po'. Del resto mi sono capitate Juventus e Milan, poteva anche andarmi meglio. Ma corro più di prima, me lo dice la testa e il gps che usiamo in allenamento. Non sono un giocatore finito. La fascia? A casa mia si dice “chi va a Roma perde la poltrona”. Gastaldello ha contribuito a riportare la Sampdoria in serie A ed è giusto che la tenga lui.

Se ha bisogno sa che ci sono».

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