Tornare in sintonia con il nostro popolo o non ci salviamo

Tornare in sintonia con il nostro popolo o non ci salviamo

Ho partecipato alla manifestazione promossa dagli «Amici del Giornale» al Teatro della Gioventù e mi complimento con gli organizzatori per la grande riuscita e la folla oceanica, superiore a quella vista in tante altre analoghe iniziative in tutta Italia.
La «discesa in campo» di Berlusconi nel 1994 segnò un'autentica rupture con il passato. Egli generò il bipolarismo come antitesi al consociativismo e alla conventio ad excludendum su cui era vissuta la Prima Repubblica. Berlusconi riempì il vuoto politico creatosi con Mani Pulite non soltanto radunando attorno a sé un elettorato rimasto orfano dei suoi tradizionali punti di riferimento, ma dando anche piena dignità politica a due forze considerate prive di legittimità ed esterne al vecchio arco costituzionale: l'allora Msi e la Lega Nord.
Col suo appello alla scelta di campo in nome della libertà, Berlusconi fece riscoprire la dimensione agonistica della politica: non più il compromesso a tutti i costi, bensì la contrapposizione di idee e di visioni, la lotta tra due opposti modi di pensare e di trattare il Paese e lo Stato. È in forza di tale polarizzazione che egli ebbe successo: l'elettorato che lo votò era sì «moderato», ma era anche l'elettorato anticomunista, antistatalista, liberale, così diffuso nel nostro Paese.
Possiamo chiederci oggi, dopo la caduta del nostro governo nel novembre scorso, l'avvento di Monti, la decomposizione del quadro politico soprattutto nel centrodestra, quale sia il destino della grande avventura iniziata nel ’94. Per rispondere a tale domanda dobbiamo innanzitutto prendere atto della realtà in cui siamo immersi, del contesto nel quale oggi la politica è chiamata a muoversi.
L'Italia e l'Occidente vivono una durissima crisi economica, le certezze su cui fino a pochi anni fa si reggeva la nostra struttura sociale sembrano venir meno. Le imprese chiudono, il risparmio pare diventato un miraggio. Il disagio sociale è a livelli di guardia. Il modello europeo di welfare diviene giorno dopo giorno meno sostenibile. Il ruolo degli Stati è debole nei confronti dei meccanismi finanziari che oggi sovrintendono all'economia globalizzata.
I vecchi schemi tendono dunque a saltare: sembra di assistere a quello che l'epistemologo Thomas Kuhn chiamava «cambio di paradigma». È il momento in cui è necessario riconoscere i mutamenti radicali della realtà, pena il rimanere tagliati fuori dal presente, prigionieri di un passato che non può tornare.
Un mutamento radicale, confermato anche dall'Istat, è l'impoverimento del ceto medio, di quei milioni di italiani che per molti anni hanno costituito il perno del consenso maggioritario al centrodestra e al Pdl. Oggi, quando pronunciamo la parola «moderati» pensando alla classe media, rischiamo di usare un vocabolo a cui non corrisponde più un oggetto reale. Prendere atto di questo dato è il primo modo per creare una politica davvero nuova.
Dobbiamo perciò tornare a parlare e soprattutto ad ascoltare coloro che classe media non sono più, e che vivono l'austerità sulla propria pelle come una sciagura. Dobbiamo risintonizzarci con un popolo che c'è, che ci ha sostenuto dal 1994 in poi e che con le ultime elezioni amministrative ha mostrato la sua delusione per ciò che non siamo stati in grado di fare e per l'appoggio a un governo capace fino ad oggi soltanto di tassare e imporre pesanti sacrifici agli italiani, senza dare una prospettiva concreta di crescita, di sviluppo e di rinascita per il nostro Paese.
Crescita, sviluppo e rinascita. Meno tasse e più libertà. Erano le parole d'ordine di Berlusconi nel '94. Devono tornare ad essere la nostra stella polare, tanto più in questo momento difficile per l'Italia. Tutto ciò non può avvenire se non ripartendo dalla famiglia, fulcro della nostra struttura sociale e garanzia della sua solidità, e dalla libertà di educazione, conditio sine qua non per lo sviluppo integrale della persona. La famiglia è la sola risposta di concretezza morale e sociale alla crisi che ci attanaglia.

Non facciamoci condizionare dalla cultura dominante, che vede nello Stato l'unico risolutore di ogni problema. Non si riparte con più statalismo e più assistenzialismo, ma con più libertà e con più sussidiarietà, favorendo la creatività e l'intraprendenza della persona.
*parlamentare ligure Pdl

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