Caro Direttore, in questi giorni si parla molto del rimborso elettorale ai partiti e, purtroppo, se ne dicono di tutti i colori, spesso limitando l'analisi agli aspetti più semplicistici della questione. Partiamo da un dato di fatto: i cittadini considerano ingiusto il rimborso elettorale ai partiti e questo per via dell'importo complessivo ritenuto abnorme (circa 180 milioni di euro all'anno), delle modalità di utilizzo non sempre trasparenti (quando non palesemente truffaldine), della sproporzione (più apparente che reale) tra rimborso ottenuto e spese sostenute, per un certo «gigantismo burocratico» delle organizzazioni di taluni partiti e, ultimo ma non ultimo motivo, per via del famoso referendum del 1993 che abolì il finanziamento pubblico ai partiti.
È quindi giusto ridurlo? Andrebbe direttamente eliminato! Fino a qui, però, abbiamo esaminato solo una faccia del problema, quella più evidente e facilmente strumentalizzabile, che può generare anche in buona fede soluzioni populistiche. L'articolo 49 della Costituzione recita: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Ed ecco l'altra faccia del problema. A chi deve essere riservato l'accesso alla politica? La domanda è oziosa e la risposta scontata: per la Costituzione tutti i cittadini hanno pari diritti.
Il Giornale ha giusto pubblicato qualche giorno fa i preventivi di spesa (parziali) per la campagna dei candidati a Sindaco di Genova: parliamo di cifre importanti, che, se fossero a carico del candidato, discriminerebbero l'accesso alla politica in funzione del censo. Non rimane dunque che il cosiddetto autofinanziamento, ovvero la ricerca di soggetti che versino soldi al partito (o al candidato) per consentirgli di pagare la campagna elettorale. E qui casca l'asino! Infatti manca del tutto una norma in Italia che regolamenti le contribuzioni volontarie. Già lo scrissi in una passata occasione sul tuo Giornale: se un soggetto mi dona 100 euro probabilmente mi vuole bene o crede in me. Se uno (magari una società) mi dona 50.000 euro, va da se che riterrà tali somme un investimento da recuperare nel tempo. Non sto parlando di illeciti, ma banalmente di attese lecite di carattere lobbistico, non chiaramente espresse e conoscibili dal pubblico dei votanti.
La domanda quindi diventa: vogliamo davvero che l'operato della politica sia trasparente? Allora a mio modo di vedere vanno fatte tre cose, contemporaneamente al taglio del rimborso: 1) vanno ridotti i costi delle campagne elettorali mediante il contingentamento degli spazi e l'ampliamento del periodo considerato per la campagna. In pratica si stabilisca che il periodo della campagna elettorale parte dai tre (o sei) mesi antecedenti il voto e che in tale periodo lo Stato (e le sue articolazioni) garantiscono spazi per affissioni e spot radiotelevisivi a tutti i partecipanti. 2) deve esistere un limite stringente alle donazioni e non un limite alla deducibilità fiscale delle stesse.
*tesoriere regionale Pd
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