Germania, lo stupratore "è sardo": pena ridotta

Sconto di due anni per attenuanti "etniche e culturali". Il giovane cagliaritano era accusato di violenza sessuale continuata nei confronti della ex fidanzata lituana. La sentenza: "La tradizione dei rapporti uomo-donna nella sua patria deve essere tenuta in considerazione". E scoppia la polemica

Germania, lo stupratore "è sardo": pena ridotta
Milano - Hanno «graziato» un imputato, hanno condannato un intero popolo. Sono i giudici di un tribunale tedesco: dovevano pesare lo stupro commesso da un ragazzo di 29 anni, ma al suo destino hanno agganciato tutta la Sardegna. «Si deve tener conto - scrivono i magistrati di Buckeburg - delle particolari impronte culturali ed etniche dell’imputato. È un sardo». Testuale. Con quel che, a sentire loro, ne consegue: «Il quadro dell’uomo e della donna, esistente nella sua patria, non può certo valere come scusante ma deve essere tenuto in considerazione come attenuante».

Dunque, sul pallottoliere della giustizia la condanna per un comportamento «straordinariamente spietato» si ferma a sei anni di carcere. Due in meno di quelli che sarebbero stati dati a un siciliano, un lombardo, un bavarese. Il protagonista di questa storia si chiama Maurizio Pusceddu, è cagliaritano, e lavorava a Stadthagen come cameriere: guadagnava circa 3.500 euro al mese, insomma, non se la passava male. Però, come racconta il quotidiano L’unione sarda, era ossessionato dalla fidanzata, una ragazza lituana conosciuta a Natale 2004. Pusceddu era convinto che lei lo tradisse e gli preferisse un suo collega cameriere; inoltre, dettaglio che forse vale più delle note biografiche, il giovane era un consumatore di hashish, cocaina ed eroina.

Alla fine quel cocktail fra sentimenti e droghe ha generato l’orrore. Lui ha segregato la poveretta, l’ha tenuta prigioniera per tre settimane, infliggendole violenze e umiliazioni indicibili. Il catalogo delle torture è interminabile: la sventurata è stata legata al letto con le manette, picchiata, violentata e costretta a giochi erotici con la partecipazione di una terza persona; non basta perché il suo carnefice le ha spento sigarette sulle parti intime, l’ha obbligata a iniettarsi eroina e a bere aceto, le ha urinato addosso, l’ha fotografata in quello stato penoso. Lei ha cercato di scappare calandosi con le lenzuola dalla finestra, ma è stata ripresa; ha passato notti intere nuda sul pavimento, le finestre aperte; ha sentito la lama del coltellino dell’aguzzino correre sulla sua pelle e soffermarsi sadica sulle bruciature. Poi, le torture sono finite.
Difficile capire cosa c’entri la Sardegna con queste bestialità in serie. I giudici, però, hanno seguito il filo d’Arianna della gelosia, la miccia di questa follia, sono arrivati in Sardegna e hanno disseppellito le radici etniche e culturali di Pusceddu. Per qualche tempo nessuno ha studiato le motivazioni, ma poi l’avvocato Annamaria Busia ha presentato istanza alla corte d’appello di Cagliari: lui vorrebbe scontare la pena in Italia.

Dalla Germania arriva la traduzione del verdetto, accompagnata da una richiesta ben precisa: Pusceddu stia in carcere per sei anni, senza facilitazioni e indulti. «Le attenuanti etniche e culturali - spiega Busia - hanno prodotto uno sconto di due anni. La sentenza è permeata di inaccettabile razzismo».

E a poco serve che la portavoce del Landgericht Bueckeburg, Birgit Brueninghaus, ci metta una pezza: la pena è poco «al di sopra della metà» del massimo consentito. Possibile? Sì. Tanto per cominciare, Pusceddu ha agito «in uno stato di notevole riduzione della propria capacità di controllo». Ancora, era incensurato e ha parzialmente confessato. Ma poi, ed eccoci al punto più spinoso, ha commesso quel che ha commesso «sotto l’effetto di un’eccessiva gelosia. E a questo proposito si deve tener conto della particolari impronte culturali ed etniche dell’imputato». Insomma, la geografia non spiega ma, almeno in parte, giustifica. La portavoce insiste: «Non gioca alcun ruolo il fatto che si tratti di un italiano e non di un bavarese o di un cittadino della Germania settentrionale». No, però, per dare una lettura razionale di quella gelosia devastante i giudici si sdraiano sulla carta geografica: l’imputato «è cresciuto in un ambiente in cui c’era un particolare quadro dell’uomo e della donna». «Non si tratta - assicura lei - di una sentenza razzista». Certo, Pusceddu ha limitato i danni, ma i sardi non ne escono bene.
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