Politica

Gheddafi, da «amici miei» al grande freddo

Il leader libico spacca la sinistra: ribaltate le vecchie simpatie. In ottimi rapporti con Dini, Prodi e D’Alema, ora invece trova un Pd che lo accoglie tra le polemiche. Mentre ad applaudirlo c’è un ex An come Gasparri

Gheddafi, da «amici miei» al grande freddo

Roma - Lo avreste mai immaginato che arrivava Gheddafi, con la fotona del martire libico (impiccato dal regio esercito italiano)sul bavero, una super scorta di panterone nere, una chioma fluente e ancor più nera, e si sarebbe rivoltato il nostro mondo?
Altro che pietra dello scandalo: dal Senato alla Sapienza sino al Campidoglio il colonnello ieri è riuscito a sconvolgere certezze e ribaltare posizioni. Chi era contro è divenuto a favore e viceversa, si spaccano i partiti e si rompono antichi sodalizi, i forcaioli diventano garantisti e i moralisti chiudono ambedue gli occhi. Di certo è sorprendente cogliere il dalemiano Nicola Latorre che inforcati gli occhiali scuri per raggiungere Palazzo Giustiniani dice sferzante «andiamo dal compagno Gheddafi... lo proporrò come commissario del Pd», mentre il veltroniano Enrico Morando diserta l’appuntamento e ribadisce serissimo che far parlare Gheddafi «sarebbe stata un’umiliazione dello spirito democratico e repubblicano del nostro Paese».

Dite che la sinistra nuovamente divisa non è una novità? Oddio, almeno in politica estera il Pd è sempre apparso unito e senza incertezze, ma la visita del leader libico ha prodotto la quadratura del cerchio, ora non c’è più niente che li unisce. E se Veltroni, Franceschini e Rutelli sono contro Gheddafi, fingono di dimenticare che all’accordo di definitiva pacificazione tra Italia e Libia hanno lavorato anche i governi dell’Ulivo, nello specifico «l’amico Prodi», «l’amico Dini» e «l’amico D’Alema» come ha tenuto ad elogiarli nella Sala Zuccari il colonnello. Ad ascoltarlo c’era però andato anche Franco Marini, che ha abbandonato dopo tre quarti d’ora di attesa precisando: «Io ero favorevole a farlo parlare in Aula, ma ho un altro appuntamento. E credo che Gheddafi lo faccia apposta a ritardare così tanto, per vendicarsi di averlo spostato dall’Aula».
Qui s’è rivoltato il mondo, signora mia. Ma le pare che a contestare l’assenza dello Stato di diritto in Libia dando del «dittatore» a Gheddafi sia Antonio Di Pietro? Passi per i radicali che su questo tema hanno le carte in regola, ed è stata proprio Emma Bonino a caldeggiare la mediazione di far parlare Gheddafi a Palazzo Giustiniani, purché non ci fossero contestazioni almeno da parte dei senatori.

Chi non voleva se ne stesse a casa, insomma: e infatti nella sala le 150 sedie per i vip non bastavano, ne hanno dovute aggiungere una cinquantina facendo così il pienone che in Aula si vede solo al voto di fiducia. E però il questore Benedetto Adragna ha dovuto gridare forte, affinché sentissero i giornalisti, che «c’è stato un accordo tra la capogruppo Finocchiaro, la Bonino e il vostro capogruppo Belisario: non lo facevamo parlare in aula, e voi non avreste fatto manifestazioni». Ce l’aveva coi dipietristi Pedica, Pardi e Carlino che volevano accogliere l’ospite esibendo la foto della strage di Lockerbie al bavero. Il capogruppo ovviamente non s’è visto, mentre Pedica cercava di farsi portar fuori a forza dai commessi. Sai com’è, pacta sunt servanda... Ma quando infine Gheddafi è arrivato, al fianco di Schifani e con una sola - ma abbondante - amazzone, deludendo i giornalisti tutti tesi per l’attesa di chissà quale contestazione clamorosa, i tre si son limitati ad un piccolo applauso. «Di riprovazione», ha spiegato Pedica. Ghedddafi però lo ha preso per buono, ed ha sorriso.

Ha spaccato e diviso l’Italia intera, non solo la politica. E senza che i più accalorati s’accorgessero delle contraddizioni. All’università s’è riscatenata l’onda, che ormai mette sullo stesso piano il Papa e Gheddafi. Quest’ultimo almeno è riuscito a parlare, schernendo e sfidando i contestatori, «se accetterete cinquanta milioni di rifugiati, io sarò con voi sempre nel rispetto dei diritti dell’uomo». Ma a difenderlo c’era solo il Pdci. I comunisti, i dalemiani, il Pdl e le vecchie glorie democristiane. A Giulio Andreotti, l’«amico» più omaggiato dopo l’«amico» Berlusconi, il discorso di Gheddafi «è molto piaciuto». Come al presidente Schifani, che parla da garante delle istituzioni: «Lo rinviterei». Come all’«amico» Cossiga che ha invece definito «fascisti» i dipietristi. Mentre il postdemocristiano Casini dirazza sentenziando che «è stato violato il decoro».

Che volete, oggi il colonnello incontra settecento donne entusiaste, mentre altre trecento si incontrano per contestarlo, a Villa Pamphili organizzano partite di calcetto per protestare contro le tende libiche e al Campidoglio i tifosi alzano striscioni «Forza Roma, Gheddafi pensaci tu».

Ma come camminano i motorini e le auto dei contestatori, ad acqua? E se il ministro Scajola rivela che i libici vogliono investire in Enel ed Eni, facciamo i signori e diciamo no grazie? Ma alla sostanza delle cose, è vero o no che l’Italia ha invaso la Libia, ha giustiziato e incarcerato i libici che non s’arrendevano? E allora basta, gioite per la pace finalmente suggellata.

Perché è paradossale che Maurizio Gasparri sia in prima fila ad applaudire Gheddafi mentre la sinistra prende il suo posto nella trincea di Giarabub e intoni «colonnello non voglio pane, voglio piombo pel mio moschetto».

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