Paolo Marchi
«Non ho mai vinto una medaglia olimpica né un titolo mondiale, non ho vinto
per la quinta volta in Gardena e nemmeno ho conquistato una coppa del mondo
di discesa, però sono contento lo stesso per quanto fatto con gli sci».
Attrezzi che non userà più, almeno non per agonismo. A 36 anni, Kristian
Ghedina ha deciso di ritirarsi per dedicarsi all’altra passione della sua
vita: i motori. Sabato debutterà a Magny-Cours con una Lola nella formula
3000 masters e a luglio farà altrettanto al Mugello a livello di campionato
italiano Superturismo con la stessa Bmw guidata l’anno scorso da Zanardi.
Alex e con lui Alphand (prima liberista di seta pura e poi campione delle
quattro ruote), Patrese (grande pilota ma anche valido sciatore) e Alesi
sono tra coloro che hanno insistito perché questo scavezzacollo ampezzano
continuasse a sfidare la velocità sotto altre forme. In conferenza ieri a
Milano, Ghedina dirà che quello dell’automobilismo «è un treno che passava e
che era giusto prendere anche perché ho sempre sognato di correre in auto».
Correre in gara, perché per correre ha sempre corso, dal cappottarsi nei
boschi dietro casa a Cortina chiuso in scatoloni di cartone a schiantarsi 15
anni fa sulla Milano-Torino, tre giorni di coma e a seguire una lunga
ricostruzione psico-fisica.
Ghedina, nella sfortuna, è stato più fortunato di Leo David, un grandissimo
mancato dopo un’unica vittoria in coppa, Leo che pagò con la morte una
banale caduta in discesa nel ’79. E ora che ha deciso di chiudere «perché a
36 anni gli acciacchi alla schiena sono troppi per pensare di poter essere
ancora protagonista, anche se in base alle liste di merito sono sempre il
decimo discesista al mondo», Ghedina va applaudito per quello che ha saputo
fare tra una botta e l’altra, che sono state tante, a iniziare dalla morte
in pista di sua madre Adriana, lui appena 15enne.
C’è il Kristian che avrebbe potuto essere e il Kristian che è stato, per la
serie la storia fatta con i se e con i ma. È facile pensare che senza
quell’incidente in auto avrebbe vinto di più e di una qualità migliore. A
vent’anni aveva infatti un talento a 360°, capace di andare a punti anche in
gigante all’esordio nell’estate ’89, 13° in Nuova Zelanda. Ed era pure bravo
in slalom, soprattutto a livello di combinate, argento ai Mondiali ’91. Un
polivalente alla Girardelli e alla Zurbriggen, senza purtroppo la loro
testa.
Col primo podio nel dicembre ’89 in Gardena e l’ultimo nel gennaio 2005 a
Chamonix, ha saputo vincere per 13 volte in coppa (come nessun altro
azzurro), più altre due medaglie mondiali, entrambe in libera, facendosi
amare anche dagli «odiati» austriaci per l’allegra baldanza e per numeri da
circo, gli acrobati non i clown: «Credo che la spaccata sul traguardo di
Kitzbuhel verrà ricordata a lungo», fatta a 137,6 km all’ora, tanto per
rischiare poco... «Mio padre Angelo vorrebbe che mettessi su famiglia e un
po’ di ghiaccio sulla testa per calmarmi.
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