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Ghira, il mostro del Circeo a Roma da «turista»

Indagati due suoi familiari: per i pm in 30 anni di fuga il latitante ha potuto contare su una copertura per rientrare più volte in Italia

Ghira, il mostro del Circeo a Roma da «turista»

Massimo Malpica

da Roma

A volte ritornano. Trent’anni dopo la notte di violenza e torture al Circeo con Gianni Guido e Angelo Izzo, si riaccendono le luci sulla latitanza di Andrea Ghira. L’ultimo mostro rimasto fantasma, l’unico dei tre assassini che nel ’75 aveva già un discreto curriculum criminale, l’unico dei tre a non aver mai passato neanche un minuto dietro le sbarre, nonostante la condanna all’ergastolo per aver seviziato a morte, nella sua villa, Rosaria Lopez, e ferito gravemente Donatella Colasanti, salvata solo dall’istinto che le suggerì di fingersi morta, mentre veniva sprangata.
Nella caccia al latitante, l’attenzione della procura di Roma ora punta sui parenti del massacratore del Circeo. Due strettissimi familiari di Ghira sono stati iscritti nel registro degli indagati, i loro nomi sono finiti nel fascicolo per favoreggiamento aperto circa un anno fa dal procuratore aggiunto Italo Ormanni e dal sostituto Giuseppe De Falco. La decisione è arrivata dopo le perquisizioni a tappeto degli ultimi giorni, con carabinieri, Sco e Digos che hanno passato al setaccio nove appartamenti di parenti e amici di Andrea Ghira, sequestrando documenti, lettere e un computer, ritenuti potenzialmente utili a rintracciare il mostro del Circeo. Ma pare che alcune ispezioni siano state svolte anche all’estero nel tentativo di chiudere il cerchio intorno all’assassino.
Il sospetto dei magistrati, infatti, è che in tutti questi anni il ricercato abbia potuto contare sull’appoggio e sulle coperture della propria famiglia. Per proseguire indisturbato nella sua latitanza prima a Malindi, in Kenya, e poi in Sudamerica (l’uomo è stato avvistato praticamente a tutte le latitudini: Costa Rica e Brasile, Inghilterra e Paraguay, Sud Africa e Argentina). Ma anche per vincere la nostalgia e rientrare una o più volte a Roma in assoluta impunità: d’altra parte nel ’75, pochi mesi dopo il delitto, Ghira avrebbe fatto da carceriere nel sequestro di Ezio Matacchioni, rapito e tenuto prigioniero in una villa vicino Roma. Le frequentazioni romane remote e recenti sono una certezza per Colasanti, allarmata dalle tante segnalazioni di testimoni che avrebbero riconosciuto il suo carnefice tra l’altro ad Aprilia, vicino Roma. Ora la donna, dopo la notizia dei due familiari di Ghira indagati, si conferma convinta che il suo aguzzino sia tornato a girare per le strade della Citta eterna.
«Sono anni - spiega amareggiata - che ripeto che occorre indagare nell’ambito familiare di Ghira, nella cerchia di amici e parenti che, sono sicura, hanno coperto la fuga all’estero di quell’assassino. Ora la procura ha indagato due suoi familiari: è la conferma delle mie denunce, fatte al Capo dello Stato oltre che alla magistratura». La superstite al massacro è «sicura che Ghira sia stato in città per un lungo periodo», e rivela che «c’è una foto, pubblicata da un quotidiano, che lo ritrae a Roma».
Ci sono anche i cinque «photofit» in cui il volto da «bravo ragazzo» del Ghira versione ’75 è stato invecchiato al computer dagli esperti della Scientifica. Dopo che queste immagini sono apparse su «Chi l’ha visto» a maggio scorso (quando Izzo era tornato a uccidere riportando all’attenzione dei media anche il massacro del Circeo) è arrivata dal Sudamerica l’ultima segnalazione su Ghira. Colasanto, però, su questo punto è scettica: «Agli identikit al computer non ci credo. Ci sono altre istantanee: i familiari - accusa - sanno dove si nasconde quell’assassino, la sua fuga è stata coperta da gente importante. Ora qualcosa si muove».
Infastiditi dalla rinnovata attenzione al caso, i familiari di Ghira smontano l’ultima ipotesi degli inquirenti sostenendo, come fa un cugino di Andrea, che il latitante non si sia mai fatto sentire dai suoi parenti, e abbia «distrutto la sua famiglia, soprattutto la madre». Inutili, dunque, le perquisizioni. «Gli agenti cercavano di tutto - spiega il cugino - anche fotografie. Ma io non ho nulla di lui, l'ho cancellato, non mi ricordo neanche il suo volto». Quello che i pm della procura di Roma sperano presto di poter rivedere.

Da vicino.

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