Già esauriti i biglietti del tour Ritorna il maledetto del pop

Ridgeley, l’altra metà degli Wham!, non vuole tornare con il compagno. Vive in Cornovaglia e pensa alle moto, al surf e alla famiglia

Paolo Giordano

nostro inviato a Londra

E figurarsi se c'era autoironia: il bobby l’aveva appena trovato in auto, la faccia sul volante e un bel po' di marijuana sul sedile. In stato confusionale. Ma se uno si giustifica dicendo «è stata colpa mia come al solito» vuol dire che l'idea di averne, di colpe, comunque non gli passa neanche per la testa. Così si è riaperto «il caso George Michael»: da tre mesi tutti i tabloid inglesi sono scatenati con l'acquolina in bocca e anche per questo ieri i biglietti del nuovo tour europeo sono andati esauriti in due ore nette. D'altronde lui è fatto così: quando a diciott’anni ha cancellato il suo vero nome perché voleva diventare famoso e Georgios Kyriacos Panayiotou faceva troppo cipriota, in realtà cambiò solo l'anagrafe, mica la mentalità. Le convinzioni sono rimaste identiche, tendenza mania di persecuzione, ossia il mondo è cattivo e io faccio quel che posso. Anzi, Elton John è più cattivo di tutti e, «se da due anni sono in disgrazia», la colpa è di Elton che ha detto «da quando George Michael ha rivelato la sua omosessualità, vive una vita depravata ed è un ciccione miserabile». Forse è per questo, mica perché è «un terribile guidatore», che domenica scorsa il «ciccione» ha sfasciato tre auto parcheggiando il suo Suv sotto casa, a North London. Insomma, continua a vivere le sue due vite, Georgios contro George, e il personaggio ha ormai divorato la persona. La superstar più amata dagli inglesi, patrimonio da cento milioni di euro, da vent'anni è domiciliata di diritto a Fleet Street, la strada di Londra dove grufolano le redazioni più pettegole. Invece il dolce Georgios è sempre nel posto dove non vorrebbe essere: è un cantante pop ma sogna il jazz, è idolo delle ragazzine (ora ragazze) ma è un sofferto gay. L'altro giorno a Fleet Street sono scattati i brindisi mentre lui confessava in tivù di volersi sposare entro l'anno con il fidanzato Kenny Goss, che è uno dei suoi pochi punti fermi (quello prima, Anselmo Feleppa, è morto di Aids). E mentre ripeteva, con gli occhi schiacciati dentro occhiaie neonate, che «ho gli stessi diritti delle coppie eterosessuali» sembrava l'Elton John de noantri oppure Hugh Grant che, presentando l'altro giorno lo stupidissimo American Dreamz, reclamava di non essere altrettanto stupido. Excusatio non petita, gossip manifesto. Certo, non dovrebbe aver bisogno di pettegolezzi una superstar come questo ragazzone di 43 anni, che ha venduto ottantacinque milioni di dischi, che ha registrato una canzone (Last Christmas) che fa Natale anche quando è Ferragosto, che con la disillusa Outside è riuscito a scherzare persino sul suo arresto nel 1998 per «lewd acts», atti libidinosi in un bagno pubblico di Los Angeles. Quella volta, purtroppo, fu un poliziotto a farsi adescare e, quando esibì il distintivo, George Michael sentì che il mondo era davvero cattivo. Altro cin cin a Fleet Street. D'altronde così va la (sua) vita. Quando a dicembre ha annunciato che comporrà la colonna sonora del nuovo James Bond di Casino royale nessuno se l'è filato. Idem per il duetto con sua maestà Paul McCartney in Heal the pain, che ha avuto lo stesso risalto di un usignolo in uno stormo di corvi: zero. E, quando l'hanno ritrovato con la faccia sul volante, a pochi interessava che lui fosse «davvero eccitato» perché aveva appena finito di duettare con la leggenda americana Tony Bennett o che pochi giorni prima fosse morta sua madre. George Michael è carne da tabloid, è fatto apposta per essere sezionato a mezzo stampa perché tanto non è capace di farsi valere, chessò, con una bella querela. Due anni fa, al suo arrivo a Milano per presentare lo scarso ciddì Patience, i flash erano golosi e le domande affamate di pettegolezzi: non interessava avere di fronte il vero erede di (aridaie) Elton John, l'unico in grado di cantar bene i brani dei Queen grazie a una voce d'ebano e a tonalità così liquide e capaci di quella virilità non maschia che si adatta a qualsiasi repertorio. Interessava l'unico cantante pop gay che non è un'icona dei gay, l'unico bello che non fa tendenza, l'unico che viva «contro» pur essendo un simbolo del mainstream, della moda, dagli abiti alle meches, dagli occhiali alle vacanze sulle isole greche. Quando litigò con la sua casa discografica Sony - che pretendeva più ciccia commerciale dall'album Listen without prejudice - rimase in letargo per anni. Avrebbe potuto essere un savonarola meglio di Manu Chao, eppure a fargli la posta, anche in quel periodo di ribellione ante litteram ai mammasantissima del disco, c'erano solo i paparazzi del Daily Mirror. E così sarà anche il 27 settembre a Madrid dove inizierà una tournée quindici anni dopo l'ultima, con grande schiamazzo di corvi che minacciano di coprire l'usignolo (e i 4 brani nuovi che pubblicherà in un greatest hits), «Ho fatto io l'incidente? Sono stato io a esser beccato drogato in auto?» ha chiosato perfido Elton John, che tra i corvi ci sguazza.

Ma «da quando ero un ragazzino non sono mai stato così bene» ha risposto lui, George Michael, la popstar sdoppiata che ora ha bisogno dei flash per tornare una persona sola, soprattutto, provare a parcheggiare ben lontano da Fleet Street.

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