«Giù le mani dagli autonomi»

Laura Verlicchi

da Milano

Il taglio del cuneo fiscale? «Ottima idea, purché lo paghi lo Stato: non i lavoratori autonomi con le loro pensioni». È il giudizio di Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, sulla proposta di Prodi e in particolare sulla cosiddetta «perequazione» delle aliquote, che ne costituisce la base.
Un’operazione rischiosa, a vostro avviso: perché?
«Perché vuole annullare il divario esistente tra i contributi pagati dai lavoratori dipendenti (oggi al 32,7%) e gli autonomi a scapito di questi ultimi, che dall’attuale 19% pagherebbero il 25%, secondo le ipotesi circolate. Questo significa punire una categoria, che già ha sofferto la crisi come tutti i settori del made in Italy, tessile-abbigliamento in testa, e oltretutto dovrebbe farsi carico anche delle pensioni altrui. Con l’economia che già fatica a ripartire, e la riforma dei Tfr in arrivo, mi sembra decisamente una scelta da bocciare. Piuttosto, si incentivi il ricorso alle pensioni integrative».
Prodi sostiene che il fisco premia il lavoro precario, attraverso le aliquote inferiori: è d’accordo?
«Il discorso ha una sua validità, anche se vorrei ricordare che la legge Biagi ha introdotto maggiori garanzie, tanto che i lavoratori a progetto attuali costano di più dei “vecchi” Cococo. Comunque, il problema secondo me è un altro, almeno per quanto riguarda le imprese sotto i venti dipendenti, che nel nostro Paese sono il 98% del totale e danno lavoro al 65% dei dipendenti, pubblica amministrazione esclusa».
Cioè di che si tratta?
«Le piccole imprese non hanno difficoltà ad assumere, quanto piuttosto a trovare manodopera preparata e a tenersela stretta, tant’è vero che una delle richieste più forti che ci vengono fatte da parte di questi imprenditori è quella di aumentare i tempi di preavviso per chi lascia l’azienda».
Per i suoi sostenitori, però, il taglio del cuneo favorirebbe proprio gli aumenti salariali nelle aree dove c’è forte domanda di lavoro: che ne pensa?
«Guardi, è chiaro che ridurre il costo del lavoro avrebbe effetti positivi, sia per i dipendenti che per gli imprenditori: anzi, le dico che ne sarei contento, chiunque lo realizzasse. A patto però che lo sgravio sia pagato dalla fiscalità generale, e sia quindi lo Stato a rinunciare a una parte delle sue entrate. Bisognerebbe cioè tagliare anche la pressione tributaria, ovvero imposte e tasse, e non solo quella contributiva. Ma bisogna anche fare i conti, e io li ho fatti, sia pure “spannometricamente”».
E che cifre le risultano?
«Prendendo come base lo stipendio medio di un impiegato del commercio, il taglio annuo di 5 punti del cuneo corrisponderebbe a un risparmio per il datore di lavoro, e di conseguenza a un mancato introito per l’erario, di 800-900 euro.

Sul totale, diventano 18 miliardi, ossia 35mila miliardi di vecchie lire. Una montagna troppo alta da scalare, per qualsiasi governo. E tanto più ora, con il deficit attuale e l’obbligo di rientrare entro i parametri di Maastricht da rispettare».

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