Il giacobinismo che vuole strappare la Sindone

Avevo scritto chiedendo che vi esprimeste sull’autenticità della Sindone. Rispondendo a un altro lettore, Granzotto così si pronuncia: «La Sindone, caro Fava, è quella che ciascuno crede che sia». Debbo esprimere tutta la mia delusione per questa affermazione pirandelliana: «Io sono colei che mi si crede». Relativismo assoluto. Tutta la vita ho lottato e continuo a lottare per arrivare alla verità delle cose. Non dovevate perciò intitolare nel Giornale sulla sua risposta: «Sulla Sacra Sindone nessuna certezza arriva dalla scienza». Forse che invece ci arriva dalla fede? Non lo stimo affatto. Ciò di cui sono certo è che nel dubbio (mancanza di certezza umana) bisognerebbe astenersi dall’agire, facendo credere che quanto si propone corrisponda a verità. Altrimenti bisogna concludere amaramente che «vulgus vult decipi» e che qualunque favola lo soddisfa. Perciò niente ostensione della Sindone, con relativo pellegrinaggio per un lenzuolo macchiato di sangue. Ma se di sindoni ce ne sono una sessantina, nel mondo cristiano! Preferisco dissentire da Granzotto e voglio ripeterlo, alto e forte: il Giornale dovrebbe dissociarsi da ogni sua espressione di impotenza. Forse che non cerca, il quotidiano, di sapere la verità in ogni processo che si celebra? Perché non la finiamo allora di discutere, accontentandoci di una qualsiasi verità, sia essa del pm, sia essa degli avvocati difensori? Immaginarsi se il giudice concludesse un processo con la sentenza: «L’imputato è colpevole o innocente, come a ciascuno piace». La prima reazione sarebbe quella di abolire i processi, ogni ricerca della verità essendo inutile e dispendiosa. Molto male per tutti...
Trieste

Mi scusi, caro Zucchi, perché tutta questa animosità tardo illuminista? In mancanza di «certezze umane» lei ritiene che la Sindone sia un volgare lenzuolo macchiato di sangue? Contento lei, contenti tutti. Nessuno l’obbliga a crederla altro. E nessuno le impone di mettersi in coda per parteciparne l’ostensione. Lei amaramente concluda ciò che vuole, ma che cosa le fa pensare che ritenendo essere la Sindone il sudario di Gesù Cristo il «vulgus» goda nell’essere imbrogliato? E chi l’imbroglierebbe, poi? La Chiesa no di certo, la scienza sua beneamata nemmeno. La fede - qualsiasi fede -, il credere cioè come veri determinati assunti o concetti, non ha necessità di essere corroborata dagli esami di un laboratorio scientifico, dal verdetto di gran giurì o da prove del nove in genere: non richiede la «certezza umana» in triplice copia con tanto di timbro e firma autenticata. Capisco che a uno come lei, che si batte da una vita «per arrivare alla verità delle cose» - vaste programme, avrebbe sorriso de Gaulle. Comunque, mi auguro che almeno un paio ne abbia acchiappate al volo -, ciò possa mandare la digestione di traverso, ma se ne deve fare una ragione. Se insiste, e con questi toni, poi («niente ostensione della Sindone», «il Giornale dovrebbe dissociarsi da ogni espressione di impotenza» del sottoscritto. Oh là là!), finirà per vivere a Maalox e semolini. Dia retta, caro Zucchi, deponga l’ascia di guerra. Si prenda una canonica pausa di riflessione. Così com’è io la vedo un piantumatore di Alberi della Libertà, come un eccitato spettatore della festa dell’Essere supremo, un devoto del culto della Ragione, tutte cose che andavano di moda ai tempi del buon Massimiliano Robespierre (che s’ebbe il suo termidoro, è sempre bene ricordarlo) e che per lo spazio d’un mattino eccitarono assai anche molti di noi italiani. Mi par di capire, infatti, che più della ricerca della verità lei miri a proibire la diffusione di idee, sentimenti, credenze che giudica fallaci (diciamocela tutta: che non le piacciono).

Ma le pare? Una sorta di arcigno negazionismo in salsa giacobina? Guardi, se non a me dia retta almeno a Metternich, che davvero di certe cose s’intendeva: è inutile chiudere i cancelli alle idee e ai sentimenti. Li scavalcano.

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