Giallo in Via del Campo: è morta «Bocca di rosa»?

La notizia, pubblicata come un giallo sulla prima pagina del Secolo XIX di ieri, sarebbe quella della morte di «Bocca di rosa», la signora che ha ispirato a Fabrizio De Andrè la sua canzone più amata, quella in cui si riconosceva di più, quella che sentiva più sua. Quella che, in qualche modo, come disse anche in una delle rare interviste a Vincenzo Mollica, lo fotografava meglio. Quasi un autoritratto, uno specchio rovesciato in cui Faber poteva vedersi.
Ieri, fra i caruggi della città vecchia, che di De Andrè sono stati l’habitat naturale, è stata quasi una caccia all’indizio per capire se Bocca di rosa fosse davvero Liliana Tassio detta Lilli, morta sabato a 88 anni all’ospedale Villa Scassi di Genova e ricordata dal più normale dei necrologi: «È serenamente mancata all’affetto dei suoi cari, Liliana Tassio. Ne danno il triste annuncio la nuora Daniela, la nipote Simona ed il piccolo Andrea... La presente quale partecipazione e ringraziamento». Insomma, di De Andrè nemmeno l’ombra, neanche quei pochi versi poetici che spesso contrappuntano i ricordi dei propri cari.
Eppure, la caccia all’indizio - iniziata già ieri dalle colonne dello stesso Secolo, che è andato alla ricerca di testimoni nel mondo di Faber - continua. Ma senza troppi riscontri: Dori Ghezzi, ad esempio, che oltre essere stata la compagna di vita di Fabrizio è anche la più fedele custode della sua memoria, che manda avanti con la Fondazione intitolata a Faber, ricorda che Bocca di rosa non è nata dalla vita di una genovese, ma da una fan triestina di Fabrizio che gli aveva aperto il cuore, raccontandogli la sua vita. Paolo Villaggio, che fu compagno di giorni e soprattutto di notti di Fabrizio è come sempre icastico, fedele al suo personaggio ormai emancipato dai vincoli delle passioni: «Non ho mai conosciuto la Tassio, ma sono moltissime le persone che mitizzano il proprio passato. E questa sarà un’altra leggenda. Bocca di rosa non esisteva nemmeno». Poco poetico, ma efficace.
Vittorio Sirianni, che di Genova è un po’ il Pippo Baudo (televisivamente, in meglio) e la memoria storica e ha raccontato proprio sul Giornale i bordelli, le loro tenutarie, le loro «graziose» e i loro frequentatori con una poesia e una dolcezza unica, liquida la questione con una delle sue straordinarie battute: «Non mi risulta proprio. Se Bocca di rosa fosse stata lei, l’avrei conosciuta bene». E, detto da uno che con Faber, suo fratello e la sua prima compagna ha passato più notti che giorni, c’è da crederlo.
A questo punto, resterebbe l’ultima supertestimone del Secolo, Francesca Perno, che ricorda di come Liliana Tassio fosse la mamma di Gianni, amico e proprietario dello storico negozio di via del Campo che custodiva anche la chitarra di De Andrè. Storia bellissima quella del racconto di come Liliana avesse mantenuto da sola suo figlio, facendo anche la prostituta, ma che non c’entra con Bocca di rosa: «Con me - ricorda l’amica all’agenzia di stampa Adnkronos - Liliana ha sempre negato di essere l’ispiratrice della canzone di Fabrizio».
Del resto, non serviva cercare testimoni per capire che Bocca di rosa non è una biografia, ma è un racconto letterario, a partire dalla «stazione successiva, nel paesino di Sant’Ilario», che esiste davvero, che è il quartiere all’estremo levante della città di Genova, ma che non ha più la stazione e forse ce l’avrà solo in una futura metropolitana di superficie. Che, mi rendo conto, è molto meno poetica del racconto di Fabrizio.
Insomma, Liliana è morta e preghiamo per lei che le sia lieve la terra. Ma Bocca di rosa, no.

Bocca di rosa non è morta per il semplice fatto che Bocca di rosa non può morire, come non possono morire i personaggi resi immortali da una poesia, da un libro o da una canzone.
E nemmeno lo sforzo (vano) di cercarli sulla terra o in un cimitero, riesce a cancellarli. Senza bisogno di testimoni, sono nei nostri cuori. Sono parte di noi. Siamo noi i loro testimoni.

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