Gianfranco Fini, un rimasuglio di prima Repubblica

Egregio Dottor Granzotto, le scrivo questa lettera dopo aver ascoltato e purtroppo visto la trasmissione di Lilli Gruber Otto e mezzo in cui erano ospiti l’on. Bondi e l’on. Bocchino (livido) il quale con supponenza e violenza chiedeva a Bondi conto del tesseramento del Popolo della libertà (aderendo per la prima volta nella mia vita a una forza politica, mi sono tesserato alla fine del 2009 - tessera 13454 - in quanto non mi piaceva il comportamento della parte dissidente facente capo all’on. Fini). Per sapere che cosa ha spinto persone come me ad aderire alle idee del presidente Berlusconi che ha sempre rischiato creando posti di lavoro e imprese, basta chiedersi quanti giorni hanno lavorato e rischiato denari propri l’on. Fini e i suoi accoliti. Voglio però aggiungere che alle persone che sono abituate a lavorare - come io faccio dal 1962 - le mene non dei politici, ma dei politicanti urtano i nervi. E portano a disinteressarsi della politica, alimentando la voglia di disertare le urne. E tramite lei vorrei invitare il presidente Berlusconi ad andare a vedere le sezioni sul territorio, di non fidarsi delle relazioni dei ras locali che in buona parte hanno solo la politica come attività e non sanno che cosa vuol dire essere e stare sul mercato. Questo accorato appello è a fronte delle minacce di far valere le tessere, espresse dall’on. Bocchino. Basta vedere come si sono ridotti i partiti storici con il mercato delle tessere.
La Spezia

È così, caro Iannoni: Gianfranco Fini ha precipitato la destra nel clima politico-politicante della peggiore prima repubblica. D’altronde quello sa fare, Fini: il politicante attento solo al suo orticello di potere e dunque miope, forse attrezzato per la tattica, non certo per la strategia. Lo ha mai sentito esporre non dico un progetto, ma una semplice idea politica? Sempre che non sia l’aria frittissima soffiata sul futuro, sul solito sistema da cambiare, sui sogni che devono diventare realtà, sulle nuove generazioni alle quali consegnare, magari in confezione dono, un mondo migliore? Il diavolo, però, fa le pentole ma non i coperchi e Berlusconi lo ha spiazzato con uno dei suoi soliti coup de théâtre. Vede, caro Iannoni, alimentandosi l’una con l’altra, le beghe fratricide tra i sangiaccati della prima repubblica si perpetuavano perché condotte nella penombra dei corridoi dei Bottegoni e dei Botteghini. Di quella che veniva ipocritamente detta «dialettica interna» - zuffe senza quartiere - traspariva solo il generico. Del circostanziato, delle vere ragioni di bottega i militanti e l’opinione pubblica in genere venivano tenuti all’oscuro. Sennò sai le pernacchie. E invece che cosa ha fatto il Cavaliere? Ha voluto che Fini facesse sfoggio delle sue ambizioncelle da capocaseggiato in diretta televisiva. Mettendo così il reuccio di via della Scrofa a nudo, e non è stato un bello spettacolo, ammettiamolo.
Posso però capire lo stato d’animo suo, caro Iannoni, e dei tanti che credevano che quei giochini del menga fossero stati definitivamente archiviati, per lo meno nello schieramento liberale. E che dunque venga a lei e a loro la tentazione di tirare i remi in barca. Proprio mentre c’è chi per stroncare sul nascere velleità frondiste e correntizie e per sbarrare il passo agli sciagurati ragiunat delle tessere, non vedrebbe male una generale chiamata alle urne? No, guardi, meglio lasciar i remi negli scalmi, senza troppo preoccuparsi per Fini, un altro al quale le pompe e i fasti della presidenza della Camera hanno dato alla testa.

E dunque destinato alla bertinottizzazione, la qual cosa vuol dire un mesto ritorno all’anonimato. O alla casinizzazione, ovvero al continuo, umiliante mettersi in vendita al miglior offerente. E nell’uno come nell’altro caso non si fa politica: ci si limita a tirare a campare.

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