Il tempo è davvero scaduto. Il documento con cui il Pdl mette alla porta Gianfranco Fini è già stato scritto e domani sarebbe stato portato all'ufficio di presidenza. Poche righe, per chiudere una vicenda che stava mettendo a serio rischio la tenuta della maggioranza e la rotta del governo. Tanto è bastato perché Fini alzasse bandiera bianca. Lo ha fatto ieri sera, consegnando l'atto di resa ai colleghi del Foglio di Giuliano Ferrara. La decisione è arrivata dopo una giornata di consultazione con i suoi fedelissimi, molti dei quali gli hanno fatto sapere che non lo avrebbero seguito in avventure suicide. Solo, impaurito, la nuova icona della sinistra, la spalla della magistratura politicizzata, l'uomo che nelle ultime ore imitava Di Pietro e chiedeva con arroganza le dimissioni di tutti gli indagati dagli incarichi di partito (quindi anche di Berlusconi), ha fatto una retromarcia di 180 gradi: resettiamo tutto senza risentimenti, io e Berlusconi abbiamo il dovere di governare insieme, chiudiamo una pagina conflittuale, sono garantista, e via dicendo.
C'è da fidarsi? Difficile dirlo a caldo, ma non credo. La mossa pare più tattica che sincera, cioè consegnare a Berlusconi la responsabilità di rompere per poi dire: ma come, io ero pronto alla pace, il cattivo sei tu. Perché dico questo? Perché da Fini non è arrivata neppure una mezza parola di scuse per le accuse di collusione con la mafia e immoralità che i suoi fidi Bocchino (ancora ieri ha definito Verdini uno psicopatico) e Granata hanno fatto al governo. Non un accenno alle sue fondazioni e ai suoi giornali che hanno osannato la sinistra e il killer Spatuzza, nuovi modelli etici e politici. Ma non solo. Ci si può fidare di uno che ha definito «il male assoluto» ciò per cui ha chiesto e ottenuto voti (...)
(...) da milioni di italiani che in nome di quel «male» (il fascismo) hanno subito lutti e tragedie? Ci si può fidare di uno che tradì l'alleato Casini dopo che lo rassicurò che mai avrebbe seguito Berlusconi in quella «comica finale del Pdl»?. E ci si può fidare di uno che ha usato la presidenza della Camera, cioè un ruolo istituzionale, come una clava personale contro Berlusconi e il suo stesso partito? Quanto durerebbe la pace con un uomo così? Poco, a meno che, per esempio, non sia contestuale ad atti concreti, come le dimissioni da presidente della Camera e un ritorno alla politica di partito.
Evidentemente Fini si è reso conto che anche l'ultimo tentativo di spallata giudiziaria, la vicenda della cosiddetta P3, non sta in piedi e che quindi di lì non si passa.
Non ci voleva molto a capirlo. La P3 la più grande bufala della storia giudiziaria, un polverone mediatico sostenuto da Repubblica (il cui editore era più amico del faccendiere Carboni di quanto non lo siano Verdini e Dell'Utri messi insieme) e avallata dal Corriere della Sera (che grazie alla antesignana P2 fu scippato ai legittimi proprietari, i Rizzoli, e consegnato in quelle attuali). Per questo Berlusconi si è convinto che la politica non può più restare ostaggio della magistratura, di Fini e dell'informazione di sinistra. La prossima settimana il premier porrà al parlamento la questione della riforma della giustizia in modo inderogabile, così come previsto dal programma elettorale e di governo del Pdl. Basta mediazioni inconcludenti e che lasciano solo spazio e tempo a chi vuole tenere in ostaggio il Paese, come è successo sulla legge che riforma le intercettazioni, uscita talmente annacquata da mesi di dibattiti da risultare inutile (tanto che probabilmente verrà ritirata). Siamo sicuri che Fini approverebbe questa nuova linea? E che voterebbe la probabile richiesta del premier di insediare una commissione parlamentare di inchiesta sulla magistratura politicizzata?
Tutte domande alle quali qualsiasi persona di buon senso che abbia seguito l'ultimo anno di vicende politiche farebbe fatica a rispondere «sì».
Non so come Berlusconi risponderà a questo appello-trappola, ma è certo che in assenza di fatti concreti la macchina elettorale del Pdl è già pronta ad affrontare la prova delle urne.
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