A vederlo non dà l'impressione di un cultore del delitto ma l'architetto Biondillo che di giorno percorre a piedi Quarto Oggiaro mentre di notte imprime sulla carta gli efferati crimini che, secondo lui, possono avvenire solo nell'hinterland milanese, a leggerlo dà l'impressione di un entomologo che seziona con ferocia killer allampanati e trepide vittime sopraffatte dall'adipe. Tanto che d' istinto la prima domanda che gli rivolgo non può essere che la seguente: cosa l'ha mai condotto a immaginare storie talmente truculente? «Forse la tremenda curiosità», mi risponde con grazia, «di sapere cosa accade in una mente criminale».
Basta questo a determinare la vocazione di uno scrittore di thriller?
«Certo che no. Ma devo fare una precisazione: io non sono né mi considero un giallista. Ma piuttosto la versione aggiornata di un implacabile cane da tartufo in veste umana».
Ma davvero... Può spiegarsi meglio?
«Sono uno scrittore anomalo, perseguitato dall'incubo del Male, l'orrore più tremendo che si può annidare nella mente umana. Fin da quando da bambino sfogliavo nei quotidiani la cronaca dei processi che turbavano i nostri connazionali».
Mi sta dicendo che, come lettore, non è mai stato un patito dei Gialli Mondadori?
«Proprio così. Semmai adoravo Poe e Dostoevskji che si occupavano sì di delitti ma poco o nulla del meccanismo che porta all'identificazione del colpevole. Cambiai idea solo quando lessi Raymond Chandler».
Come mai?
«Si ricorda del "Grande sonno"?»
Ma certo, è uno dei miei libri preferiti. Ma non vedo che importanza...
«...abbia potuto avere per uno come me? La prego, si concentri sull'inizio quando Philip Marlowe si reca in visita dal generale Sternwood, e allora capirà tutto».
Di Chandler o di lei?
«Di me, di me! Anche se lo scrittore americano sfrutta tutti gli elementi in suo possesso per smascherare l'assassino, si renderà conto che non è questo il suo movente né tantomeno il suo scopo».
Che invece è...?
«L'esplorazione dell'universo dove purtroppo si annida la volontà perversa di eliminare l'altro».
Ma chi è l'Altro?
«Non certo chi insidia la moglie o tenta di rovinare la carriera del proprio socio in affari. È l'incarnazione del male oscuro di essere che tramuta l'uomo comune nel più spietato e feroce assassino».
Come il killer del suo romanzo "Il giovane sbirro" che accanto al cadavere della sua vittima colloca una testa di porco infilata a una picca?
«Sì e no. Perché quel capo mozzo fa parte di un rito atroce come il satanismo che nella musica fragorosa e assordante chiamata metal ha trovato il propellente ideale».
Passiamo a un altro argomento. Come mai è così interessato a Quarto Oggiaro?
«Semplicemente perché è il quartiere in cui ho passato l'infanzia».
Basta quello a farne il sottofondo prediletto delle sue crime stories?
«Per coinvolgere il lettore nel mondo che genera il presupposto del delitto, è necessario conoscerne il paesaggio, non trova?».
Per questo, lei riproduce con sbalorditiva esattezza il linguaggio delle periferie urbane?
«Certamente. Non ho fiducia nell'italiano parlato».
Che tuttavia è sinonimo di stile...
«Non sono d'accordo. Dato che oggi usiamo sia per abitudine che per convenzione una lingua morta».
Non le pare di esagerare?
«Niente affatto. Prenda Milano, la città in cui viviamo, che è diventata da anni la sede di un mito come la torre di Babele. Dove si parla di tutto, dall'afgano al tunisino, dal cinese all'indù. Può uno scrittore contemporaneo, mi domando, prescindere da una simile realtà di fatto?»
Nei suoi libri il ritmo si rivela più importante della parola.
«Ma la parola cos'è, se non il ritmo per eccellenza, il suono, il moto rapinoso che ci costringe ad aprir bocca? È questa, mi creda, la vera minaccia che arma la mano del Killer e obbliga chi scrive a premere il grilletto sulla carne viva della pagina bianca».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.