La grande emozione è arrivata dal giavellotto di Tero Pitkamaki, il gladiatore finlandese del giavellotto che, d’un tratto, s’è lasciato sfuggire l’attrezzo e l’ha trasformato in un’arma. Lancio sbagliato. Pitkamaki l’ha capito subito ma poi s’è coperto gli occhi dall’orrore e dalla paura quando lo ha visto atterrare nella zona dei saltatori in lungo, infilare il dorso di Salim Sdiri, il ventinovenne francese di Ajaccio che stava proprio ad un passo da Andrew Howe. L’arma impropria si è infilata nelle costole del francese che non ha fatto in tempo ad accorgersi. Andrew invece sì. Ha avuto un attimo di choc, prima di aiutare l’uomo ferito. «Gli ho praticamente tolto il giavellotto dalle costole. Avevo le mani piene di sangue, ma lui mi ha detto che non era nulla di grave. Ripensandoci mi sono spaventato: poteva finir peggio, il giavellotto mi ha sfiorato», ha raccontato il nostro campione del salto in lungo che, pochi secondi dopo, ha vinto la gara con l’ultimo balzo a m. 8,12. recuperando il primo posto, fino allora dell’americano Pate (m. 8,06). Sdiri, invece, è filato all’ospedale con l’autoambulanza. «Ha una ferita di quattro centimetri al costato destro, la punta del giavellotto è parzialmente penetrata nel fianco», ha spiegato il medico della Fidal, Giuseppe Fischetto.
Dalla paura all’emozione: i miracoli sono per chi usa il doping, gli umani possono solo farli sognare. Oscar Pistorius, questo sudafricano che vuol correre ai confini della realtà, lo ha dimostrato facendo una gran corsa con quelle sue gambe fasulle in carbonio, atleta bello, dimensionato, forte dei suoi 21 anni e della forza di muscoli che devono supplire alla mancanza di quei monconi di gamba. Ha corso i 400 metri con un gruppo di ragazzi italiani e ha dato loro una lezione: più umana che atletica. Partito lentissimo come una tartaruga, perché le lamine che lo sorreggono non possono darti resa nella spinta, manca la sensibilità dei piedi, soltanto la continuità di corsa può rimettere in moto la forza di anche e cosce chiamate al superlavoro.
Pistorius è uscito dai blocchi, in ottava corsia, con il tempo di reazione più alto (0.430), ha faticato nel mettere in moto il motore, mentre gli altri concorrenti, tutti italiani dai tempi non proprio esaltanti, facevano la loro corsa di testa. Lui se n’è stato in retrovia fino al rettilineo finale quando ha ingranato la marcia, recuperando grazie all’ampiezza di falcate e ad un aumento di frequenze. Ha recuperato tutti, tranne Stefano Braciola, un ex calciatore, uno degli ultimi arrivati della compagnia atletica. Detto questo e detto il tempo di Pistorius (46”90) e di Braciola (46”72), è detto tutto per capire l’essenza di una bella favola, ma da qui al partecipare alle Olimpiadi o ai mondiali con gli atleti normalmente dotati ce ne vorrà. Tanto per capire: 45”95 è il minimo B sui 400 metri per l’ammissione ai mondiali. Ieri nella serie dei campioni Lashawn Merritt ha corso i 400 m. in 44”44, Angelo Taylor quasi a spalla (45”55). Il record personale di Pistorius segna 46”34. Comunque un sogno si è avverato: correre con quelli che hanno le gambe. «È stata una emozione incredibile, bellissima», ha raccontato. Prossimo appuntamento domani a Sheffield. In Inghilterra ci sarà lui, non Giuseppe Gibilisco, rifiutato ormai da tre meeting (Losanna, Sheffield e Cuxhaven) per le sue questioni di doping. Casi della vita.
Nell’atletica dei giganti ancora una volta Aafa Powell ha fatto sventolare la sua grandezza correndo i 100 metri in 9”90, secondo tempo dell’anno dopo il 9”84 di Tyson Gay. Gara facile con finale controllato per il recordman dei 100 metri. Buone notizie per Simone Collio, al record personale: 10”19. Invece nell’alto Antonietta di Martino è finita quarta (m. 1,95).
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