nostro inviato a Ginevra
Prima una famiglia, poi un'altra. Poi i parenti stretti, poi quelli un po'meno stretti. Così, adesso La Suisse est Rom-ande. Come una mano lesta, guidata da uno spiccato sense of humour e delle assonanze, ha scritto con lo spray verde sotto il ponte di Rue Cornavin, a ridosso della stazione. Questione di radici, in fondo. Le stesse che, contravvenendo ai loro principi di nomadismo, hanno messo qui a Ginevra, loro. I rom, appunto. Risultato: anche la Svizzera delle quattro certezze, cioccolato, banche, orologi e inflessibilità, è alle corde. E Ginevra è diventata la meta di questa strana e singolare corsa all'oro con tutte le contraddizioni e i disagi di una situazione che rischia di diventare esplosiva da un giorno all'altro. L'oro dei rom è l'accattonaggio, o meglio, la mendicité, come dicono da queste parti. Non tanto e non solo per quello che riescono a raccogliere lungo le vie dello shopping internazionale, nella città più internazionale della Svizzera, ma per il meccanismo perverso e inarrestabile che qui la mendicité ha innescato.
Seguiteci in questo delicato passaggio. Fino all'anno scorso la polizia ginevrina puniva con un'ammenda chi veniva sorpreso a chiedere l'elemosina. Come è facile intuire, gran parte dei rom multati non pagava la multa e, appena il gendarme girava l'angolo, stracciava il verbale. Per farla breve: nei primi sei mesi del 2007 sono state elevate 800 contravvenzioni per un totale di 85mila franchi e ne ha incassati solo 10.500. Vi chiederete dove sta la stranezza della vicenda. La stranezza arriva. E con gli interessi. Perché dal 14 giugno tutte le multe inflitte ai rom sono state dichiarate illegali e lo Stato dovrà rimborsare quei pochi quattrini che è riuscito a incassare.
Tutto merito di una zelante avvocatessa, Dina Bazarbachi, che ha fatto della battaglia per la difesa dei diritti dei rom il suo principale scopo quotidiano, tanto da fondare e diventarne presidente, un'associazione a loro tutela: Mesemrom. E oggi l'avvocato dalla bionda chioma esulta. Perché i rimborsi, conferma il portavoce della polizia cantonale, Philippe Brandt, stanno arrivando. Puntuali come i treni svizzeri.
Complessivamente sono stati già restituiti 7000 franchi. Meno esultano i commercianti. E non è difficile scoprire le ragioni del loro disappunto. Basta camminare lungo rue du Marché, nel cuore della zona pedonale, per incontrare un mendicante rom davanti alla Grande Boucherie du Molard , la macelleria più antica e blasonata di Ginevra, trovare una coppia di bambine romene che domanda l'elemosina tendendo un bicchiere di carta, appiccicata alle vetrine del noto giocattolaio Weber . Altri due, con la stessa attrezzatura, davanti a Davidoff. In compenso lo spiazzo di Plainpalais, fino alle prime luci della sera, è una sorta di parco giochi ad appannaggio esclusivo dei bimbi rom e delle loro madri. Mentre, davanti alla Caviar House- Prunier, di fresca riapertura, in place de la Fusterie, tre nomadi si sono organizzati con una tenda di teli di plastica, in vista del ricco shopping natalizio. Una sorta di percorso ad ostacoli, dunque. Che invoglia la gente del Cantone a scantonare. Dai rom. Ma anche dai negozi.
Così c'è chi raccoglie firme per «la cacciata degli zigani», chi tollera, chi strepita. Come Eric Hochward, responsabile della filiale della Banque Cantonale, in rue du Carouge, che si fa interprete della protesta di molti raccolta anche dalla Tribune de Geneve : «La presenza dei rom infastidisce e impaurisce i nostri clienti. Sono sempre di più quelli che non se la sentono di prelevare denaro nei distributori automatici all'esterno delle banche della città». La situazione ha talmente turbato i sonni dei pubblici amministratori che Laurent Moutinot, vicepresidente del Conseil d'Etat, e Pierre Maudet, conseiller de la Sécurité, hanno deciso di varare il piano cantonale di lotta alla mendicità che prevede interventi di repressione ma anche di assistenza, con l'ausilio di una brigata specifica di gendarmeria, operativa dal 1° dicembre. Come e perché la città è arrivata sull'orlo di una crisi di nervi? «Perché Ginevra è vicina. In treno da Bucarest ci mettiamo sei ore - risponde in perfetto italiano, Gheorge Ungureal, 22 anni che ha lasciato il ghetto di Aiud in Transilvania per traslocare qui, un anno fa - e poi perché quando lasciamo la Romania abbiamo due mete in testa, il Nord Italia o Ginevra. Puntiamo sulle zone ricche, non per rubare quattrini ma per cercare lavoro. Io sono un buon muratore ma nessuno mi ha ancora assunto e così... ». Indica quel cappello che tiene in mano, Gheorge. «... così mendichiamo. Anche se non ci piace farlo, credimi.
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