da Milano
Sveglia alle 6.30 per la lezione di tennis. Alle 8.30 rientro in albergo, a Milano il Four Season da sempre. Colazione (con cappuccio bollente?) e poi via, a spuntare unagenda fitta di appuntamenti daffari, senza dimenticare le sfilate dove (quando arriva) è puntuale e accompagnata, oltre che da un ordinato caschetto, tacchi alti e occhiali scuri, da pochi collaboratori e una guardia del corpo. Anna Wintour, il «diavolo che veste Prada», in questi giorni è a Milano e vi rimane fino a venerdì: sorriso di ordinanza per i fotografi e sguardo impassibile davanti alle passerelle, si è presentata lunedì alla sfilata di Giorgio Armani e ieri a quella di Alberta Ferretti, Bottega Veneta e Prada. Con un abito Gucci, due fili di ametista al collo e un giubbino di pelliccia (passione che le costò in passato brutti scherzi dagli animalisti), Ms. Wintour, 57 anni ben portati (si sussurra con qualche aiutino), fino alla pubblicazione de Il diavolo veste Prada scritto da unassistente particolarmente vessata e alluscita dellomonimo film, era sconosciuta ai più. Ora, per molti, è unicona: basta nominarla in queste giornate milanesi per vedere strabuzzare gli occhi.
A noi Anna Wintour è parsa una che cerca di fare il suo lavoro: del resto, la rivista che dirige vende un milione e mezzo di copie e detta le leggi del fashion in America e in Asia, influenzando il business europeo. Con passo deciso, il diavolo che non veste sempre Prada svicola nei backstage, tocca i tessuti, carpisce informazioni. A volte, accenna un sorriso. «Sono felice che sia venuta da noi: la sua critica è importante. Ha dimostrato il suo valore dirigendo una delle testate di moda più significative», commenta Alberta Ferretti. Lo fa da 19 anni, ossia da quando, giunta dallInghilterra, è salita con determinazione sullo scranno più ambito, la direzione di Vogue America.
Anna Wintour non sarà un diavolo, ma è persona su cui gli addetti ai lavori non si sbottonano. Si mormora sia difficile prevederne i movimenti: chi la conosce sa che organizza la sua giornata nei minimi dettagli e che i cambiamenti dellultimo minuto non sono capricci. «È la McKinsey della moda», dice qualcuno: sempre pronta a centrare lobiettivo (e i guadagni). Ma i severi giudizi sul made in Italy (tra i sette stilisti più significativi del momento per lei solo uno è italiano: indovinate chi?) hanno scatenato malumori tra i creativi del Bel Paese.
È vero: Anna Wintour siede, quasi fosse in trono, nel posto centrale della passerella e promuove talenti emergenti a stelle e a strisce piuttosto che la moda europea. Ma chi la conosce giura che tra lei e la Miranda Priestley del film le somiglianze sono davvero poche. Franca Sozzani spiega: «Anna lavora per un mercato che non esisteva: ha scoperto nuovi e giovani artisti, che sono quelli di cui sentiremo parlare in futuro, ed è riuscita a dare credibilità ai marchi americani». Professionista rigorosa che non mescola il privato con il lavoro, Anna Wintour è per la Sozzani soprattutto «una donna capace». Aggiunge: «Un conto è comportarsi in modo glamour, un altro è essere credibili come lo è lei: il suo successo non è immeritato».
Anche Diego Della Valle non ci sta a servirsi di stereotipi. Il pensiero va a un recente articolo del New York Times dal titolo Citizen Anna che fa il verso a Citizen Kane, il magnate statunitense William Randolph Hearst che ispirò Quarto Potere a Orson Welles. «Per capire Anna Wintour bisogna parlare con chi la conosce - spiega Della Valle -. È una donna piacevole che sa fare il suo mestiere e che mi ha consigliato benissimo, suggerendo uno stilista (Derek Lam, ndr) che ha rivoluzionato la mia azienda».
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