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Un giorno a Mosca davanti alla Tv

COMUNISMO ADDIO Nei film per la Tv i bolscevichi non sono più eroi, ma plebe impazzita, capace di tutto

di Geminello Alvi

MoscaSul primo canale della tv che qui è il più composto e serioso, Berlusconi pare uno di casa. Sarà perché il loro Putin, ch'è per solito molto trattenuto, sorride ora contento di un’amicizia tra i due, che si vede, non v'è dubbio, è sincera. E quindi ogni tanto si lascia andare a compiaciuti sorrisi che sono dei respiri finalmente senza bisogno di etichetta. Dicano i maligni, o gli esperti di venalità che sono poi spesso gli stessi, quello che vogliono per spiegare il perché e percome di Berlusconi in Russia. Da postitaliano in esilio per stanchezza, io mi sento ormai solo un ingenuo telespettatore postsovietico, e questo Berlusconi in visita mi calma. Del resto perciò piace anche ai russi. Alla mano, senza le presunzioni e le maniere ostentate dei tanti occidentali, soprattutto non è da primo ministro qui a sindacare. Non è poco, per un popolo ch'è stato sempre ogni volta alla fine invaso dalle buone intenzioni europee, e quindi da Napoleone, da Marx e infine da Hitler. Anzi dovendo dire di questo Berlusconi in Russia, direi che la sua bonomia e l'amicizia che ne deriva, qui fanno piacere. Anche al vecchietto che mi ferma per la strada, e non richiesto, in un eccesso di zelo, mentre io nel gran freddo mi compro una merenda, approva. E loda pure Celentano e Toto Cutugno. Per poi mettersi a parlare del Papa, e come niente fosse dello scisma ortodosso che per loro non è tale.
Meglio comunque non esagerare. E moderare gli effetti teatrali dei locali. I confini consueti nei discorsi o con la gente qui sono più difficili. Cerco infatti di comprarmi un ago e del filo, in un precario negozio per strada di una vecchietta, e me ne deriva infatti un altro discorso infinito sul perché non ho a casa nessuno che me lo attacchi. Si arriva così a parlare di cose quasi intime, delicate, perché il modo di fare dei più qui è senza mezze misure, tra due estremi: ritroso, anzi direi persino ostile, oppure infantile alla buona. Come di un’altra Italia, che era quella più povera del dopoguerra, dove gli uomini volentieri si riconoscevano in Aldo Fabrizi e le donne non tentavano le cure dimagranti. E volentieri si sfiorivano per i figli in paciose Ave Ninchi. Fisiognomiche impossibili ora in questa Italia incattivita che non mi piace, e che qui invece per una strana nostalgia ritrovo, malgrado la diversa lingua. Forse l'essere alla buona degli italiani migliori è quanto più in effetti li avvicina in totale sentimento ai russi. Del resto, come loro, noi patiamo quasi sempre delle tempeste di sentimenti, che mal dominiamo. E però qui la vicinanza forse deve fermarsi. Il perché è ovvio, quando appena ritorno a casa accendo la tv. Capito su Nasci Kanal che è in canale di film sovietici, direi del tutto fuori mercato persino qui. C'è una scena grigia e fatta di una sola inquadratura che dura al di là di ogni possibile sopportazione e condanna a un'ansia nordica, a una tristezza fredda totale. Anzi quasi direi che i più contemplativi dei film di Bergmann sarebbero al confronto dei film d'azione.
Ed è questo il punto in effetti da non trascurare mai: i russi sono nordici. E per quanto teatrali o emozionabili, hanno una qualcosa di più fondo nell'anima, come una pulsione all'abisso. Noi siamo più nervosi, come fatti d'aria, mutevoli. Qui invece ogni cosa pare avere come questo cielo grigio una gravità maggiore: tutto è più pesante e perciò via via si esagera, e diviene grottesco. Mentre da noi si parte ogni volta, senza però mai davvero crederci sul serio. Ma cambio canale e ritorno al primo, dove c'è un programma che si chiama «Pust Gavariat», un programma tv di disgrazie, dei casi seri o disperati. C'è una bella vecchina, che potrebbe essere la madre di chiunque, ma che protesta perché il figlio la fa vivere in quattro metri quadrati. Ne seguono invettive da una parte dei commentatori presenti. E il figlio, un omone, allora quasi si sente male, piangerebbe, ma la moglie lo sostiene e materna gli tiene un braccio. L'effetto comico è poi accresciuto dal vociare della sorella che protesta urlante e dall'intervento di un deputato, che come ogni politico non si capisce cosa dice.
E però dopo questa scena come metterla con i russi che avevo ridotto poco fa a puri nordici? Una scena del genere potrebbe a ben vedere dirsi più napoletana di una commedia di De Filippo. Ma pure questo fatto si potrebbe un po' aggiustare. Basti pensare ad alcuni romanzi di Hamsun, per esempio a Fame. Anche gli scandinavi quando erano davvero poveri con quel freddo si ritrovavano in stati estremi. Sì e tuttavia non ne derivavano estremi così grotteschi come quelli russi. Insomma solo Gogol è russo. E qui tragedia e commedia variano qui una nell'altra, per qualche misterioso atavismo. Ancora ricambio canale tv. In questa mia affrettata ricerca di cosa sia questa immensa nazione e di cosa a essa ora ci avvicini il televisore serve. Come serve quest’altra nuova serie titolata «Admiral». Un telefilm che inizia con una scena da corazzata Potëmkin al contrario, vista cioè dalla parte degli ufficiali di Marina, e del comandante della nave. Il quale ordina sì ai suoi di arrendersi ai bolscevichi. Ma al bruto comunista non dà la sua spada, invece la butta in mare. La parte degli eroi e dei più belli non tocca insomma più neppure nei film della tv ai bolscevichi; che anzi appaiono ormai ai più per quello che erano: una plebe impazzita, quindi di tutto capace. Strana giravolta di quello che Marx chiamava il movimento reale delle cose, e che in Russia gira appunto ora all'incontrario. Molto più che in Italia, dove dei comici solo venali e che non fanno ridere, recitano la parte dei bolscevichi che non sono e che non sanno.
Ma allora meglio i russi: quei pensionati dell'Armata rossa che sfilano, in protesta con la bandiera di Lenin, ancora in un'altra scena che sta adesso nel telegiornale. Insomma per chiuderla, e non farla troppo lunga costringendo il lettore a una antologia di tutta la tv locale, salterei alcuni pezzi del mio ragionamento. E direi intanto che una differenza vera tra noi e loro, è che i russi sono un popolo massa, in questo molti simili ai tedeschi, facili quindi a essere trascinati, alle ossessioni. Insomma a obbedire fatalmente a quei doveri della Storia, che mai invece un italiano per istinto sentirà più di tanto. Neppure Mussolini ha potuto tanto, per poche persone e pochi anni forse solo Garibaldi e Mazzini ci sono riusciti. Ed è evidente che non è proprio il mestiere di Berlusconi quello di convincerci a cambiare. Noi italiani insomma siamo più individualisti, e inoltre incapaci del tutto di arrivare a capire a che punto di sopportazione nella sua storia è potuto arrivare questo popolo. Ecco, a separarci è questa loro capacità di pazienza, che però nel popolo russo non si apparenta alla vecchia. È piuttosto come lo stato di un bambino che si distrae, e anzi si compiace delle sue pigrizie e si lascia portare. E in effetti, seppure confusionari noi siamo meno pigri e in certe cose più pratici. E però ambedue siamo popoli in eccessi burocratici.
Del resto in quale altro posto del mondo si sente che gli altri sono così ben disposti a lasciarci impigrire. Stamane visita all'istituto di ricerche energetiche del professore che sa tutto della guerra in Georgia. Scorrono fiumi di caffè e biscotti e chiacchiere con giovani ricercatori dai visi più vari, che potrebbero essere giapponesi o svedesi, e invece sono russi e molto intelligenti. La sera altra televisione russa e a dormire. Finché non mi sveglia alle otto il tipo che porta i giornali. Ha un fare disturbato e in fondo ostile. Ma anche lui è la Russia; nella pazienza non tutti diventano santi. Anzi in molti qui invece impoverendosi o sentendosi in tutto persi o semplicemente bevendo troppo, si colmano infine di rancori tremendi, che fanno paura, solo a ben pensarci. Comunque neppure costui da solo è la Russia. La mattina infatti di nuovo ritorno alla palestra di arte marziale russa che frequento, e mi risento addirittura quasi meglio di come starei a casa. Il colonnello che la dirige mi saluta con bel buongiorno, giacché va a spesso a Bari dov'è una cattedrale sacra agli ortodossi. È un uomo non alto ma di stazza enorme e di una bonomia mite e gigantesca. Benedice il pane e poi dà il via a un piccolo rinfresco alla buona fatta, che continuerà indefinito e calmo tutto il giorno per un compleanno.

Né manca un giovane in borghese, che è un prete ortodosso e gli uscieri e tutti quelli che lavorano in questi strani uffici russi dove non si capisce mai chi fa che cosa. E come non risentirsi così innervati in una Russia eterna, che somiglia ogni volta quasi a un romanzo di Cechov… ?

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