Difficile essere adolescenti in una metropoli che ti chiede di diventare rapidamente adulto e se non ci riesci è pronta a inghiottirti. Difficile essere adolescenti se tuo padre è fuggito dalla famiglia e poco dopo è morto. Difficile essere se stessi quando ancora si è incerti su tutto ma in particolare su come trovare il proprio posto nel mondo.
Avete presente Christopher Moltisanti, amato come un nipote dal boss mafioso Tony, nella serie I Soprano? Una testa calda, un bullo, uno abituato ad andare sempre al massimo, pronto a schiantarsi e sfidare la morte. L'attore che interpretava quel ruolo si chiama Michael Imperioli e ha scritto un romanzo formidabile, Il profumo bruciò i suoi occhi (Neri Pozza, pagg. 210, euro 17; in libreria dal 21 giugno). Racconta la storia di Matthew, un ragazzino che dai sobborghi si trasferisce, con sua madre, a Manhattan e si iscrive a una scuola privata prestigiosa. Tutto merito del nonno materno, che faceva l'allibratore clandestino utilizzando il suo negozio come copertura. Alla sua morte, ha lasciato in eredità valigie piene di contanti.
Come vanno le cose a Manhattan? All'inizio sembrano complicate, specie nella scuola «progressista» che si rivela più che altro «classista», il denaro (dei genitori) è il metro di misura delle persone. Però c'è quella ragazza, Veronica, bellissima e sempre un po' distaccata. Lei non è come tutti gli altri. Lei è diversa. Nella nuova casa di Manhattan, due piani più sotto vive un tipo strano, scheletrico, nervoso, con i capelli biondi cortissimi e una croce celtica sul collo. Pare sia un musicista, un certo Lou Reed, sconosciuto a Matthew. I due diventano amici. Anzi. Qualcosa di più. Lou Reed diventa la figura paterna che manca a Matthew. Attenzione, però. Questo è il Lou Reed del 1975-1976, descritto in modo magistrale da Imperioli. Il ritratto è perfetto, come testimonia il confronto con la fondamentale biografia Lou Reed: a Life di Anthony De Curtis, inedita in Italia.
Lou Reed era stato il leader dei Velvet Underground, la band più influente degli anni Sessanta, sempre lontana però dal successo di massa. Come solista, aveva scalato le classifiche con Transformer, il disco di Walk on the Wild Side, Perfect Day e Vicious. Lou non amava quell'album, troppo influenzato dalle idee del produttore d'eccezione: David Bowie. Per questo il passo seguente fu il cupissimo e disperato Berlin. Zero compromessi e zero vendite. Ritornato in sella con i tour da Rock'n'roll Animal dove si trova a capo di una band hard rock, Reed entra nelle top ten mondiali con Sally Can't Dance, un disco inciso sotto l'effetto di svariate droghe. Commento di Lou Reed: «È incredibile. Più faccio schifo e più vendo. Se nel prossimo disco non compaio affatto arriverò al numero uno». Sembrava una battuta ma celava una verità. Il disco successivo, Metal Machine Music, è realizzato unicamente con le armonie (si fa per dire) delle chitarre abbandonate davanti agli amplificatori. Anche questo tentativo di auto-boicottaggio andò a buon fine, il disco lo comprarono in pochi, senza contare che molti lo riportarono al negozio dove l'avevano comprato, temendo erroneamente di aver acquistato una copia danneggiata.
È proprio in questo momento che Lou e Matthew si incontrano. Reed è alla prese con Metal Machine Music e soffre per gli alti e bassi della sua relazione con Rachel, una geisha, con la barba però. Rachel è infatti un travestito, secondo le leggende metropolitane un ex galeotto che aveva ucciso o accoltellato un uomo. Certo, Reed come figura paterna lascia un po' a desiderare: è sempre strafatto, ha la memoria a breve termine di un moscerino, può essere gentile e insieme cattivo, perlustra i bassifondi, niente è troppo sudicio per lui. Ha esplosioni improvvise di creatività che sfoga scrivendo sui muri dei cessi delle peggiori bettole newyorchesi. Non dà lezioni all'adolescente, non è il tipo, ma si accorge di lui in una città votata all'indifferenza. E guardando la vita disperata, allucinata, confusa di Lou, Matthew impara a essere se stesso. Lo incontrerà altre volte, molti anni dopo, senza mai essere riconosciuto e senza mai cercare di farsi riconoscere.
E Veronica? La sua sorte è simile a quella delle creature infelici che popolano le canzoni di Lou. È in un giro di prostituzione minorile, in piena consapevolezza e volontà. Veronica convince Matthew a partecipare a un gioco a tre, con un cliente guardone che osserva i due ragazzi fare sesso. Per Matthew è la prima volta. L'aveva immaginata ben diversa. Lo squallore di quel momento agisce sulla determinazione di Veronica, in un modo che lasciamo scoprire al lettore.
Lo stile di Imperioli, sempre sarcastico al punto giusto, richiama modelli «newyorkesi» che Lou Reed avrebbe certamente approvato, ad esempio lo Hubert Selby Jr di Ultima uscita per Brooklyn. Anche il titolo del libro è molto newyorkese, essendo un verso di Romeo Had Juliette, la canzone d'amore (più o meno) che apre il disco maestoso di Lou Reed: New York, appunto, pubblicato nel 1989. Resta la curiosità di capire quanto sia autobiografico e quanto sia finzione. È tutto inventato ma Imperioli è stato davvero amico di Lou Reed, all'incirca dal 2000 fino alla morte del cantante (2013). Fu un rapporto soprattutto «epistolare», mail dopo mail.
Tra le critiche positive, si annovera quella di Joyce Carol Oates. Altri, specie in ambito musicale, hanno liquidato il libro come «fan fiction», quel tipo di letteratura che i fan, per lo più giovanissimi, scrivono immaginando vicende che coinvolgono i loro idoli. Altri ancora hanno sottolineato che il Lou Reed di Imperioli è caricaturale. In parte è vero. Non bisogna però dimenticare che il punto di vista è quello di un ragazzino intelligente ma ingenuo, insicuro ma incline alla battuta sferzante.
La fan fiction è tutt'altra cosa, Il profumo bruciò i suoi occhi è un vero romanzo sull'adolescenza (non su Lou Reed) ed è scritto in modo brillante. Si apre e si legge tutto d'un fiato. Vale anche per chi non ha mai sentito nominare Lou Reed.
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