Un giro d’affari da 2 miliardi: ecco la giungla «sindacati Spa»

Roma Meglio colpire la «casta». A Cgil, Cisl e Uil la politica di austerity proprio non piace perché si ritiene, a torto o a ragione, che a fare sacrifici saranno i soliti noti. Susanna Camusso ha già proclamato l’ennesimo sciopero generale per dire «no» alla manovra. Per tutti loro sarebbe preferibile colpire i politici.
Eppure non si può trascurare che proprio le tre principali rappresentanze dei lavoratori potrebbero anch’esse dare un contributo facendo qualche piccola rinuncia. Nel corso degli ultimi due decenni il sindacato si è profondamente trasformato e da organismo di difesa degli interessi è diventato un fornitore di servizi. Pratiche per ottenere la pensione, dichiarazioni dei redditi, modulistica e anche corsi di formazione e aggiornamento professionale. Un giro d’affari, stimato da alcune fonti, molto vicino ai 2 miliardi di euro (inclusi i contributi volontari degli iscritti). Senza contare il notevole patrimonio immobiliare posseduto.
Ci sono due dati certi, considerato che i bilanci sono più segreti dell’oracolo di Delfi. Il primo riguarda il «finanziamento degli istituti di patronato e di assistenza sociale», erogato dal ministero del Lavoro. Nel 2011 sono stati stanziati 287,5 milioni di euro per questa voce. L’altro capitolo è attinente al ministero dell'Economia e sono i compensi per i Caf e per i consulenti che svolgono attività di assistenza fiscale. Una torta che vale 370 milioni di euro e alla quale una grossa parte è destinata proprio ai sindacati che praticamente sono «monopolisti» del settore. Senza contare che i contribuenti che si fanno aiutare nella compilazione di 730, Unico e modulo Isee devono ovviamente versare un contributo di almeno una cinquantina di euro.
C’è poi la rete dei patronati. Nell’elenco del ministero del Lavoro se ne contano una trentina, ma a fare la parte del leone sono sempre Cgil, Cisl e Uil. Una rete capillare, con una fitta presenza estera, che si occupa di pratiche previdenziali, ma anche di cassa integrazione e sussidi di disoccupazione. Di quei 287,5 milioni sarà Inca-Cgil a incassare di più (la somma non dovrebbe essere inferiore a 70 milioni di euro). Né va dimenticato che la presenza oltre i confini rappresenta anche un veicolo per condizionare le scelte dei concittadini che votano nella circoscrizione estero.
C’è poi un altro business che è quello della formazione professionale. Il finanziamento concesso al nostro Paese dall’Ue si aggira ogni anno attorno al miliardo di euro. Qualche altro centinaio di milioni è garantito dallo Stato, cioè dalle imprese. Questo capitolo, infatti, viene alimentato con lo 0,30% del monte contributi che le aziende versano agli istituti previdenziali. E chi si occupa di questo settore? I sindacati. Ma, in fondo, è il sistema-Italia che finora ha funzionato così: far partecipare un po’ tutti per attenuare - alla radice - il conflitto sociale. E come ogni istituzione italica che si rispetti il sindacato ha una «passionaccia» per il mattone. Secondo quanto riportato nel 2007 dall’Espresso la Cgil contava 3mila sedi, tutte di proprietà delle strutture territoriali o di categoria. «Non so stimare il valore di mercato ma deve trattarsi di una cifra davvero impressionante», ha dichiarato un amministratore di corso Italia. La Cisl dichiarava 5 mila sedi, mentre la Uil aveva creato una spa interamente controllata con immobili a bilancio per 35 milioni, esclusa la sede romana di via Lucullo stimata circa 80 milioni.
Insomma, se i politici godono di privilegi, anche i sindacati non sono da meno. E qualcosa da chiedere anche a loro ci sarebbe. Prima dell’avvento del ministro Brunetta alla Funzione pubblica, distacchi e permessi sindacali si sprecavano. Forza lavoro gratis per il sindacato pagata dal contribuente. E anche in caso di aspettativa i contributi figurativi sono versati dallo Stato e non dalle organizzazioni.

Senza contare che quelle stesse richieste avanzate nei confronti di aziende e amministrazioni erano spesso disattese dai sindacati stessi: è stato il Giornale a dare voce ai precari della Cgil in attesa per anni di una regolare stabilizzazione.
Non a caso alcuni anni fa un’inchiesta Eurispes rivelò che la percentuale di coloro che non hanno fiducia nei sindacati si attestava al 78,3 per cento. La «casta» non avrebbe potuto fare di peggio.

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