Giro d'Italia

Giro, Italia non vince più Vinokourov sempre rosa

Ieri al Terminillo successo del danese Sorensen: su otto tappe, sette vittorie straniere. In passato solo sfide tra azzurri, ora trionfare è difficilissimo. Nibali e Basso terzi e quarti in classifica generale

Giro, Italia non vince più  
Vinokourov sempre rosa

nostro inviato al Terminillo

Caro diario, nebbia fitta in val Padana, ma siamo in vetta al Terminillo. Chi ci vede qualcosa, chi ci capisce qualcosa, è bravo. L'unica cosa veramente chiarissima, che tutti possono vedere nitidamente, è che gli stranieri imperversano e gli italiani incassano. Su otto tappe, ne abbiamo perse sette. L’unica vinta, a squadre. Che ci succede, siamo invertebrati?

Non facciamo i faciloni. Non facciamo i soliti italiani che si buttano giù. Non dimentichiamo, prima di tutto, che gli italiani iscritti sono il 25 per cento, 53 su 198, uno su quattro. Statisticamente, dovremmo avere in cassa due tappe su otto: in fondo, ne manca soltanto una. Ma abbandoniamo velocemente l’aritmetica, restiamo alla storia. Alla vittoria di tappa arriviamo sempre molto vicini. Sul Terminillo, il giovane Stortoni è secondo dei fuggitivi (vince Sorensen), mentre Cunego è il primo dei big, così com'era stato secondo l’altro giorno al termine dell'indimenticabile show fangoso di Montalcino. Quanto alla classifica, ne avevamo tre nei primi tre (Nibali, Basso, Agnoli) e purtroppo li abbiamo stesi con un colpo solo, sempre nella tappa del Vino, giocandoci con l’assurdo strike tante buone cose. In ogni caso, non siamo messi neppure così male: sul Terminillo, dove i grandi più che altro si ricompongono nel fisico dopo il mattatoio sterrato, una scremata comunque c'è. Alla fine, ritroviamo Nibali terzo e Basso quarto, dietro ai meglio degli stranieri, il Vino rosé e l'iridato Evans (e in totale siamo sei nei primi dieci).

Che vogliamo, allora? La mia idea non cambia: meglio questo Giro ad alta connotazione internazionale, dove vincere è difficilissimo, che certi Giri da Cral aziendale dove vincevamo sempre noi perché ci battevamo tra di noi. E passiamo oltre, perché questo piagnisteo nazionalista ha già rotto abbastanza.

Piuttosto, caro diario, vorrei parlare di fair-play. Il nostro Nibasso, o Bassibali, unione indivisibile di Nibali e Basso, è rimasto parecchio male per il gesto degli avversari nella tappaccia degli sterrati, quando il binomio era per terra e gli altri sono partiti come tarantole. Recitava una leggenda antichissima che quando la maglia rosa cade, il nemico la rispetta e non attacca. L'ultimo degli ingenui, Ivan Basso, l'ha pure messa in pratica, proprio in questo Giro, durante la terza tappa olandese: Evans resta attardato perché gli cadono davanti, Basso ordina alla sua Liquigas di non infierire. E Evans salva almeno un minuto. Quanto però la scelta sia anacronistica, fuori luogo, pateticamente superata, il buon Ivan lo impara subito, a spese sue e di Nibali, quando tocca a loro, nella tragicomica ammucchiata di Montalcino.

Chi ha ragione? Non lo so. So soltanto che Nibali, più giovane, più siculo, più orgoglioso, adesso è furioso come un orango. In particolare contro un connazionale, Garzelli, il primo a sgommare via mentre lui gemeva a terra. Con faccia angelica, Garzelli cade dal pero: «Mi spiace, non volevo, non ho visto bene. Comunque con Nibali ci siamo chiariti, per me è tutto superato...». Quanto il conflitto bellico sia superato lo si legge sul volto e nelle parole di Nibali, avviandosi verso il Terminillo: «Non mi ha visto cadere? Che coraggio: era lì al mio fianco. Diciamo che mi ha subito attaccato e basta. So chi c'è dietro: a guidarlo c'è il diesse Cenghialta, che me l'ha giurata. Ero un suo corridore, poi ho cambiato squadra. E lui non me l'ha mai perdonata. Comunque, resta tutto a verbale: strada facendo, non si dimentica niente...».

Dico la verità: a me questi duelli sembrano fondamentali, nel ciclismo. Il romanzo di questo sport è zeppo di grandi gesti cavallereschi e di memorabili carognate. Ci sono campioni del passato che ancora circolano con i coltelli nelle scapole. Per non andare troppo indietro: un giorno Armstrong in giallo cade sui Pirenei per colpa di un tifoso e Ullrich si ferma ad aspettarlo. Grandioso gesto di fair-play, tutto il mondo lo acclama. Anche Armstrong, che però a stretto giro di posta gli sfila l'ennesimo Tour. Meglio lo sportivone o la carogna? Nel bene e nel male, come si dice, il Giro è la metafora della vita. Non sarà bella come cosa, ma bisogna riconoscerlo: in questo sporco mondo, con il fair-play non si esce da buoni.

Solitamente si fa soltanto rima.

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