Il giudice: "La scalata Antonveneta ha avuto complici nelle istituzioni"

Nella motivazione del gip Forleo al patteggiamento della Bpi, accuse a banchieri e politici: "Hanno agito in spregio alle regole"

Il giudice: "La scalata Antonveneta ha avuto complici nelle istituzioni"
Milano - È la prima «sentenza» sulle scalate bancarie, ed è una nuova stoccata ai politici e alle istituzioni che le spalleggiarono. Poche pagine depositate ieri, per motivare il provvedimento con cui - il 28 giugno scorso - il gip Clementina Forleo ha concesso alla Banca popolare Italiana (ex Lodi) che fu di Gianpiero Fiorani di patteggiare la pena per il fallito «assalto» ad Antonveneta. Perché se nell’estate del 2005 Bpi ha mostrato «il totale spregio delle regole poste a presidio del mercato e, con esso, dei medi e soprattutto piccoli risparmiatori e investitori», nondimeno «complici» furono gli «esponenti del mondo istituzionale, alcuni dei quali pervicacemente riluttanti ad ammettere le proprie debolezze», e - banale, forse, ma non scontato - «ad accettare dignitosamente che in uno Stato di diritto debba valere il principio sancito dall’articolo 3 della Costituzione». Ovvero, che «la legge è uguale per tutti». E anche se le parole della Forleo sono necessariamente circoscritte alla vicenda su cui è stato espresso il giudizio, a pochi giorni dalla decisione della Giunta per le autorizzazioni - che dovrà valutare se sottoporre all’esame del Parlamento le intercettazioni dei politici coinvolti nei casi Antonveneta e Bnl-Unipol - il messaggio arriva forte e chiaro.

Un patteggiamento che porta oltre 94 milioni di euro nelle casse dello Stato (a cui si aggiungono i 330mila euro che saranno versati da Bpl Suisse, società controllata dalla Popolare Italiana, e un milione di sanzione pecuniaria), frutto della plusvalenza realizzata da Lodi quando nel settembre di due anni fa decise la cessione delle azioni Antonveneta, messi su un conto vincolato in attesa della sentenza proprio da Bpi (accusata di non aver predisposto i modelli organizzativi necessari a prevenire i reati), a cui ora il giudice riconosce la «disponibilità ad ammettere l’illiceità di tale operazione». Un atteggiamento che «si inserisce sicuramente nello spirito di rinnovamento dell’istituto e dunque nello sforzo dello stesso di recuperare in pieno, a tutti i livelli e in ogni comportamento, una cultura della legalità, prendendo così le distanze da chi - è sottolineato - tale cultura continua a rifiutare».

Parla di «esponenti del mondo delle istituzioni», il giudice. Una chiamata di correità che nelle motivazioni della sentenza rimane pressoché anonima, fatta eccezione per l’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio. L’uomo del «bacio in fronte» di Fiorani è uno dei «complici nella vicenda».

Ma non c’è solo l’ex numero uno di via Nazionale. Scrive la Forleo che «complici» furono anche «altri soggetti di forte rilievo politico-istituzionale», e «ciò anche in ordine a parallele scalate di altri istituti, quali la Bnl e la società editrice Rcs».

Il riferimento, dunque, è a quei parlamentari che secondo l’accusa appoggiarono attivamente gli avventurieri della finanza italiana. Una schiera nutrita e trasversale, finita nella rete delle intercettazioni telefoniche (da un lato i diessini Massimo D’Alema, Piero Fassino e Nicola Latorre, dall’altro i forzisti Luigi Grillo, Salvatore Cicu e Romano Comincioli), per la quale è atteso il parere della Giunta e - in un secondo momento - delle Camere. Un passaggio cruciale per le indagini della procura di Milano. In assenza di autorizzazione, infatti, nessun politico potrà essere iscritto nel registro degli indagati e ogni eventuale responsabilità resterà indimostrabile. Così fosse, è il messaggio nemmeno troppo sfumato lanciato dal giudice, la legge non sarà uguale per tutti.
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