da Milano
Dizionario Garzanti della lingua italiana: «Sovversivo è colui che mira a sovvertire un ordinamento politico e sociale, essendo animato da un disordinato intento di ribellione più che da chiare idee rivoluzionarie». E che dire di un magistrato che dichiara pubblicamente di non sentirsi obbligato ad applicare una legge dello Stato, qualora la ritenga ingiusta? Il caso porta il nome di Adriano Sansa, ex sindaco di Genova (in una variopinta coalizione di sinistra) e ora presidente del tribunale dei minori del capoluogo ligure. In un commento sulla Stampa il magistrato ha confessato i turbamenti interiori prodotti dall’emendamento «blocca processi» appena varato. E il quesito amletico, per Sansa, assume i connotati di una scelta veramente drammatica: «Darò istruzioni di sospendere i processi, piegando la testa all’abuso», oppure no? Ma non è difficile capire quale sia la risposta giusta per il magistrato, che chiude l’intervento con un inquietante «non so se potrò obbedire». É questa l’inevitabile conclusione di un ragionamento che parte da un assunto a dir poco partigiano: «Una sorta di padrone tiene il posto del primo ministro - scrive Sansa -, piega il Parlamento al proprio volere e si libera della giustizia. Nel complesso ci si trova di fronte a una lesione ripetuta e grave delle regole fondamentali della Repubblica».
E così il magistrato non può che far suo il triplo «resistere» dell’ex procuratore di Milano Saverio Borrelli e senza giri di parole sostenere che i magistrati «non possono obbedire a leggi fatte per elevare al rango di padrone dei concittadini un solo cittadino e la sua corte di servitori». Parole gravissime per un magistrato, che però non suscitano la minima reazione nell’Anm.
Va ricordato che Sansa non è nuovo a uscite del genere. In una intervista nel 2004 definì l’allora esecutivo di centrodestra uno «squallido, pessimo governo», ovvero «brutta gente». Quel giudizio gli procurò un procedimento disciplinare da parte del Guardasigilli con l'accusa di aver compromesso il prestigio dell'ordine giudiziario. Accusa che poi il Csm valutò irrilevante: «legittimo esercizio del diritto di critica politica».
Difficile dire se anche questa volta Sansa abbia esercitato un mero «diritto di critica politica», esprimendo una valutazione così pesante sull’opportunità di applicare o no una legge promossa da una maggioranza parlamentare considerata «antidemocratica» e quindi, evidentemente, illegittima. Ma il suo non è certo un caso isolato tra i magistrati, per quanto ancora più esplicito, rispetto a una costante azione politica tesa a respingere leggi sgradite, attaccandosi a cavilli o dubbi di incostituzionalità. Per citare ancora Borrelli, fu sempre lui nel 2001 a dire pubblicamente che il tribunale di Milano avrebbe cercato di neutralizzare sul piano interpretativo i «guasti» legati alle nuove norme internazionali sulle rogatorie. Tanto che il ministro della giustizia Castelli minacciò l’invio degli ispettori a Milano per verificare se ci fossero magistrati che non applicavano la legge. Una stagione di tensioni cominciata con Mani pulite, e che vide nel 1994 proprio il pool milanese protagonista di un fatto inedito. Quando i quattro magistrati, con Di Pietro come portavoce ufficiale, andarono davanti alle telecamere per prendere pubblicamente posizione contro il decreto Biondi sulla riduzione dei termini della carcerazione preventiva. Un’operazione che ebbe il risultato voluto più tardi ma con un’altra legge, il cosiddetto decreto Pecorella, contestato dai magistrati fino alla bocciatura da parte della Consulta.
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