Milano - Chiamarla eutanasia forse sembrava troppo brutale. Ma quello è il suo nome, dice Francesco D’Agostino. Giurista e presidente onorario del Comitato nazionale di bioetica, ieri ha espresso la posizione dell’Unione giuristi cattolici italiani, di cui è presidente, a proposito della decisione della Cassazione sul caso Eluana. «Una sentenza giuridicamente devastante».
Perché?
«Lo è su due piani: giuridico ed etico. Dal punto di vista giuridico perché, di fatto, rende disponibile la vita: ora il papà di Eluana può scegliere se mantenerla in vita o se sospendere l’alimentazione e farla morire. La vita di Eluana ormai dipende dalla volontà insindacabile del padre».
Sul piano etico?
«Suggerisce l’idea che la vita del malato sia priva di dignità. Non è così: la vita umana non perde mai la sua dignità, anche nelle situazioni più atroci. Perciò siamo contrari alla pena di morte: perfino la vita del criminale peggiore va rispettata».
Per quale motivo i Giuristi cattolici criticano le prove considerate decisive dai giudici, quelle sulla volontà di Eluana?
«È l’argomento di chi sostiene: non è che la vita di Eluana non sia degna, è che lei non avrebbe voluto quest’esistenza. Ma la vita è un bene indisponibile. E la prova a sostegno di questa tesi è indiziaria e fragile. Se affermassi in tribunale che un amico ha fatto testamento a mio favore, e poi il documento si è perso, un giudice mi darebbe del pazzo. E invece, in una questione molto più importante del denaro, la Cassazione ha ritenuto sufficienti prove così leggere».
Che cos’è l’eutanasia passiva?
«È la morte arrecata con la sospensione delle terapie o delle forme di sostegno vitale indispensabili. Quando non alimenteranno più Eluana comincerà una procedura di eutanasia passiva. Molto lenta. Le togli il sostegno vitale e la condanni a morte».
Quale strada si apre?
«La Cassazione ha sancito il diritto all’autodeterminazione terapeutica, in tutte le fasi della vita: così ha interpretato l’articolo 32 della Costituzione, che vieta le terapie coercitive e non parla di diritto soggettivo all’autodeterminazione. Oggi posso usare questo diritto per rinunciare a un trattamento; ma perché non vendermi anche un rene, se decido io?».
È colpa solo di questa sentenza?
«No, tutto risale alla decisione presa dalla Cassazione nell’autunno scorso, che ha stabilito principi inaccettabili. Primo: che l’alimentazione e l’idratazione siano vere terapie, definizione sulla quale dissentono molti scienziati. Secondo: ha accettato come valide prove indiziare troppo deboli. Terzo: non ha avuto il coraggio di chiamarla eutanasia. Ma i giudici hanno ordinato la somministrazione di farmaci antiepilettici e l’idratazione di corpo e mucose, per evitare sofferenze. Hanno dato il via libera a una dolce morte».
Perché non avrebbero avuto questo coraggio?
«Forse dire: “Puoi procedere all’eutanasia” sarebbe suonato brutale. Magari l’opinione pubblica si sarebbe ribellata».
E per quanto riguarda il consenso informato?
«Eluana parlava di certi argomenti in modo colloquiale: non è mai stata informata adeguatamente da un medico, come prevede il consenso informato. Tutta la riflessione bioetica sul tema è stata umiliata e banalizzata dai giudici».
Hanno sbagliato proprio tutto?
«L’opinione pubblica ne trarrà l’idea che non valga la pena vivere in una situazione del genere, né curare questi malati. Altro errore: si parla di stato vegetativo irreversibile, mentre la scienza lo definisce permanente. Ci sono persone che si risvegliano, anche dopo moltissimi anni. A Eluana hanno tolto anche questa speranza, seppur piccolissima».
È una sentenza ideologica?
«Parte da
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