RomaÈ unanime il sì del Consiglio dei ministri alle linee guida della riforma costituzionale della giustizia. Una riforma, dice Silvio Berlusconi, che è basata su «principi di civiltà». Il segnale è chiaro: il governo è determinato ad andare avanti celermente e stavolta è unito, non ci sono più le resistenze interne dei finiani che hanno bloccato la sua volontà riformatrice.
Il disegno di legge dovrà essere definito da un comitato ristretto di ministri ed esperti, che si riunirà probabilmente martedì ed entro due settimane dovrebbe essere varato da un Consiglio dei ministri straordinario.
La relazione introduttiva del ministro della giustizia, Angelino Alfano, tocca i punti principali della prossima riforma. La bozza è quella bloccata a novembre, per lo strappo con il Fli: dalla separazione delle carriere fra pm e giudici al doppio Csm, dal nuovo sistema elettorale dellorgano di autogoverno alla riorganizzazione della sezione disciplinare, dallinappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado ai maggiori poteri al ministro della Giustizia, dalla maggiore autonomia della polizia giudiziaria dal pm a modifiche della legge sulla responsabilità civile dei magistrati.
Quando uno dei ministri in Consiglio tocca il tema delicato dellimmunità parlamentare prevista dal vecchio articolo 68 della Costituzione, Berlusconi si dice deciso ad imboccare quella che per mesi è stata indicata, non solo nel centrodestra, come la via maestra per superare il conflitto tra politica e magistratura.
I tempi saranno lunghi, perché per le riforme costituzionali ci vuole una doppia lettura nelle Camere e la maggioranza di due terzi se si vuole evitare il referendum confermativo. Ma al premier e alla maggioranza preme dimostrare che il governo lavora e che Pdl e Lega sono in grado di portare avanti in Parlamento i progetti annunciati.
E infatti, il premier vuole anche spingere i due provvedimenti che sembravano arenati alla Camera, quelli sul «processo breve» e sulle intercettazioni (che ripartirà dal testo approvato in Senato).
I primi a frenare sono quelli del Fli. Per Italo Bocchino non ci sono «il clima e le condizioni» per riformare la giustizia, quanto allimmunità avverte: «Berlusconi può proporre tutto quello che vuole, poi si va in Parlamento e si vota».
Le reazioni dalle opposizioni sono prevedibilmente negative. Torna a chiedere un «passo indietro» del premier il segretario Pd, Pier Luigi Bersani: «Da 10 anni Berlusconi parla di giustizia ma non è cambiato niente e il polo di attenzione è stato per i suoi problemi». E il leader dellIdv Antonio Di Pietro attacca: «Le riforme che il governo ha annunciato non sono in favore della giustizia e dei cittadini onesti ma dei delinquenti». Per il leader dellUdc, Pier Ferdinando Casini, si tratta dei «soliti provvedimenti sulla giustizia che servono solo a Berlusconi e ai suoi processi». E aggiunge: «Almeno facesse una riforma generale della giustizia: sarebbe più dignitosa». Dai centristi, però, vengono anche accuse di «giustizialismo» allIdv, per il voto con la maggioranza a favore della legge che esclude il rito abbreviato per i reati punibili con lergastolo.
Ma le critiche più dure alla maggioranza sulla riforma della giustizia arrivano dallAnm, che parla di un «copione già visto», fatto di «iniziative legislative punitive» e di «intimidazioni» alle toghe, legate alle vicende giudiziarie del premier. Il presidente Luca Palamara denuncia il fatto che ministri di Istruzione, Esteri e Giustizia «partecipano senza alcuna remora alla sistematica aggressione nei confronti dei magistrati».
La risposta del Pdl arriva dal capogruppo in Commissione Giustizia alla Camera, Enrico Costa: «Senti chi parla! Proprio Palamara accusa i ministri di attaccare i magistrati. Lui che non perde occasioni per aggredire lazione del governo e della maggioranza». E Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato, ricorda a Palamara.
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