«Gogol’ bruciò le sue Anime sul rogo»

«O mia cara signorina, getate per la fenestra il vostro Pietroburgo, duro come il quercio d’alpine, e venite qua. \ L’aria è tanto dolce, più dolce del riso a la milanese che voi avete sovente mangiato in Roma, ed il cielo, o dio, che bel cielo! \ sapete voi stessa che nessuno può annoiarsi in Roma fuorché quelli che hanno l’anima fredda come gli abitanti di Pietroburgo e principalmente i suoi impiegati, innumerevoli come arena del mare. \ Le capre e gli scultori spasseggiano, signora, sulla Strada Felice, dove ho la mia stanza (n. 126, ultimo piano) \ Il Colosseo è molto adirato contro la vostra signoria. Per questa ragione non vado da lui perche mi domanda sempre: “dite mi un poco, mio caro uomicio (ma chiama sempre cosi), che fa adesso la mia donna signora Maria?” \».
Non sono brani, un po’ sgrammaticati e d’ingenuità fanciullesca, della lettera di un emigrante italiano tornato a casa. Qui è Nikolaj Vasil’evic Gogol’ che parla, rivolgendosi, il 2 marzo del 1838, alla sua discepola M.P. Balàbina. La missiva è interessante per tre motivi. Innanzi tutto è scritta in italiano, segno che lo scrittore voleva calarsi completamente nella realtà del Paese eletto quasi a sua seconda patria. Poi, denota un legame per la capitale che ha radici e motivazioni non soltanto estetiche, ma anche caratteriali e fors’anche etiche, spirituali. Infine, contiene un riferimento agli impiegati pietroburghesi, cioè a quella pletora di funzionarietti e funzionarielli inscatolati nella «Tabella dei Ranghi» fissata dallo zar Pietro il Grande nel 1722. Li troviamo disseminati ovunque, nell’opera del grande ucraino. E soprattutto nelle Anime morte.
Ecco, Le anime morte. È questo il frutto più fresco e gustoso che ci viene offerto dal Gogol’ «italiano». Giunto a Roma nel marzo del ’37 (e la morte dell’adorato Puškin, un mese prima, certamente accrebbe in lui la voglia di cambiare aria), egli vi soggiornò a lungo, facendone la base dei suoi viaggi europei, fino al ’41. È, questo, il periodo del massimo impegno nella composizione di quella sorta di Divina Commedia alla russa.
Ne parliamo con Jurij Mann, membro dell’Accademia Russa di Scienze Estetiche, collaboratore scientifico dell’istituto di Letteratura Mondiale, professore dell’Università RGGU di Mosca e, soprattutto, l’uomo che da decenni sta curando la pubblicazione di tutta l’immensa opera di Gogol’.
Professore, Gogol’ è un emulo di Dante?
«Non un emulo, ma un’anima conquistata dal respiro di quella grande opera. Dopo aver imparato la lingua italiana, Gogol’ lesse la Commedia in originale. È facile notare una certa somiglianza tra il capolavoro dell’Alighieri e Le anime morte. Anche quest’opera, infatti, era stata progettata in tre parti. Tuttavia il secondo volume delle Anime morte non può essere interpretato come un “Purgatorio”».
Perché, professore?
«Primo perché il Purgatorio non è riconosciuto dalla chiesa ortodossa e secondo... perché i peccati commessi dal protagonista, Pavel Ivanovic Cicikov, non sono da meno di quelli presenti nella prima parte... Della terza parte, poi, non si sa quasi nulla. Però possiamo dire con certezza che non sarebbe stato l’equivalente del “Paradiso”, anche se alla fine Cicikov raggiunge lo “stato di lucidità” auguratogli per la vita nuova dallo zar in persona. Ma ciò non significa che il terzo volume avrebbe potuto essere popolato da personaggi virtuosi e che il cammino del protagonista sarebbe stato dritto e privo di conflitti. Le opere di Dante e di Gogol’ sono “commedie dell’anima”, con tutti gli errori, le contraddizioni e i momenti di lucidità del caso, ma le loro forme letterarie sono diverse».
Dunque Gogol’ era affascinato da Dante e dalla struttura della Commedia, ma non voleva farne né una rivisitazione, né un’attualizzazione...
«Esatto. Non voleva essere una versione russa di Dante. Ma neanche la versione russa di Shakespeare, o di Walter Scott, Goethe, Balzac e via dicendo. Voleva essere semplicemente Gogol’».
E ci è riuscito molto bene... Anche se Le anime morte restò incompiuto. Che cosa frenò lo scrittore? Forse una sorta di senso di colpa nei confronti del suo popolo per averlo descritto a tinte così fosche? Forse il pessimismo che, dietro il sarcasmo e l’ironia, permea le sue pagine?
«Questa è una domanda molto difficile. Gogol’ ha concepito un’opera che doveva riflettere tutta la vita russa e attraverso essa le sorti dell’umanità. In più doveva esercitare un effetto su ogni lettore, a cominciare dallo zar Nicola I per finire con il più umile dei suoi sudditi. E se questo obiettivo non era stato raggiunto (e a parere di Gogol’ dopo la pubblicazione del primo volume non era per niente stato raggiunto...) significava che questa opera non aveva ancora toccato il massimo livello della perfezione artistica».
Si sentiva inadeguato al compito che si era posto?
«Secondo lui il raggiungimento della massima perfezione era legato al processo dell’interna autoeducazione religiosa e morale. In altre parole si condannava a un processo infinito di autoperfezionamento e alle continue ricerche creative».
Professore, lei fra pochi giorni, proprio a Roma, terrà una conferenza dal titolo intrigante: «Che ne è stato del secondo volume delle Anime morte?». Appunto, che ne è stato? Come mai il libro si interrompe bruscamente?
«Esistono diverse supposizioni. Secondo una, Gogol’ avrebbe bruciato per caso il manoscritto già ultimato del secondo volume. Secondo un’altra, l’avrebbe nascosto in un luogo sicuro. La terza versione dice che il manoscritto sarebbe stato nascosto da altre persone, che non erano soddisfatte dalla linea volta a sferzare i vizi avviata nel primo volume».
Una specie di seconda censura, dopo quella istituzionale?
«Comunque sia, il mistero rimane».
Ma lei che idea si è fatto?
«Secondo me la tragedia ha veramente avuto luogo: Gogol’ ha davvero bruciato il resto del secondo volume (sono rimaste parzialmente intatti soltanto quattro capitoli, facenti parte di versioni diverse del manoscritto). E lo ha fatto non casualmente ma volutamente. Dedicherò la mia relazione alla storia e ai motivi di questa tragedia».
Torniamo all’Italia di Gogol’...
«L’influenza dell’Italia fu molto positiva in molti sensi.

Il clima mite che gli ricordava l’Ucraina, la sua patria, “il caldo non riscaldato del Sud” come diceva lui (ma durante i periodi torridi dell’estate si spostava in Francia oppure in Germania), il gran talento artistico del popolo italiano che si esprimeva nella vita quotidiana, per esempio nel decorare le vetrine. E ovviamente i capolavori della pittura e dell’architettura... Gogol’ scriveva: “Ti innamori di Roma lentamente, a poco a poco – ma per sempre e per tutta la vita”».
(Ha collaborato
Natalja Terekhova)

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