Ha fatto grandi film di successo, ma nessuno sa che faccia abbia. Perché Andy Serkis è stato Gollum (il mostriciattolo del Signore degli anelli) e King Kong (nella versione di Peter Jackson), personaggi famosissimi. E ora che il cinema si è consegnato, mani e piedi, alla tecnologia degli effetti speciali, anche lui reclama la sua parte di gloria perché con i trucchi digitali ci sa fare. Ma è così importante, mentre ancora sogniamo la smorfia di Bogart e il broncio di Brando, che uno, zeppo di elettrodi verdi, si piazzi davanti a parecchie telecamere, diventando uno scimmione gigantesco che spacca tutto, a seconda di dove va il mercato? Stando al quarantesettenne Serkis, interprete londinese che in questi giorni sta lanciando nei paesi anglofoni L'alba del pianeta delle scimmie (dal 23 settembre nelle nostre sale), pare proprio di sì. Tra laltro, lui, nel nuovo film dellantica serie Pianeta delle scimmie (premio Oscar, nel 1968, al britannico Roddy McDowell, semplicemente travestito da gorilla peloso), fa la parte del leone. Cioè dello scimmione Caesar, figlio duna mamma-cavia, curata dal morbo di Alzheimer con certe medicine, che hanno reso Caesar un primate dallintelligenza profonda. Tantè che guiderà la violenta rivolta delle scimmie, oppresse dalla razza umana. E proprio come il quadrumane del fantascientifico film, Andy si ribella. Non ci sta, insomma, a restare nelle retrovie della «motion-capture», quello speciale modo di muoversi, indossando una tuta cosparsa di sensori, creato apposta per catturare ogni più piccola mossa da rilevare al computer.
Forse Serkis verrà ricordato perché è stato il primo a reclamare un Oscar per la sua interpretazione, mezzo umana e mezzo digitale, di Gollum, mostro schizoide della trilogia di Peter Jackson. Vecchi e giovani, in effetti, impazzirono per quel viscidone bianchiccio che sibilava «Il mio tesssorooo», però Hollywood non è pronta a creare una nuova categoria di premiandi. Fu notevole, un paio danni fa, limpuntatura di Al Pacino, che parlò espressamente (e sprezzantemente) di «attori con laiutino del computer». Quindi, niente Oscar. E giù pistolotti. «Voglio più rispetto. O almeno lo stesso rispetto tributato agli attori "normali". Lo so, il mio tipo di performance è ancora misconosciuto. Dieci anni nelle retrovie, per sentirmi dire: "Ah, tu eri la voce di Gollum?", oppure: "Davvero hai fatto i movimenti di King Kong?". È frustrante. Perché io faccio l'attore: io recito», ha dichiarato la star digitale al Daily Telegraph.
Frustrazione a parte, magari è strategia promozionale: L'alba del pianeta delle scimmie, regia di Rupert Wyatt e cast interessante (Freida Pinto e James Franco), punta a diventare blockbuster estivo.
Non pago della sua visibilità come interprete di videogiochi e, adesso, anche come regista di seconda unità di The Hobbit (regia ancora di Peter Jackson), Serkis s'è sfogato anche con la BBC. Fregandosene del fatto che gli hollywooditi lo reputano un «CGI» (Computer Generated Image, cioè unimmagine creata al computer), lui tiene il punto. «Lunico modo in cui possiamo far vivere King Kong, o Caesar, è il trucco digitale. Non conosco un altro modo per fare lattore e, del resto, ho studiato per mesi landatura degli scimpanzé», ha spiegato, dilungandosi sui «contenuti emotivi di queste performances, che vivono e muoiono, di quanto gli attori mettono nel ruolo, sul set». Questione di pixel? No: questione di cuore, ribatte Andy, fiero del suo lavoro.
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